La lunga transizione della musica classica, dal glorioso passato alle sfide del digitale
Qual è l’impatto dello streaming sulla classica? Quali le opportunità da cogliere? Una conversazione con Mirko Gratton, managing director della divisione Classics & Jazz di Universal Music Italia
Se escludiamo il recente fenomeno Måneskin e i soliti grandi nomi (Ramazzotti-Pausini-Ferro in primis), a livello di scene organiche la musica italiana che fa scuola nel mondo è quella meno “pop”: elettronica da un lato, classica dall’altro. Si tratta peraltro di due mondi che – all’apparenza distanti – in realtà si corteggiano spesso, dando luogo a ibridazioni sempre nuove.
Da sempre patria della grande musica sinfonica e lirica, l’Italia da diverso tempo sa esprimere brillanti talenti legati a quella scuola nordeuropea che fonde stilemi di ascendenza tradizionale con una produzione iper-contemporanea: Dardust, Boosta, Alessandro Martire sono solo gli esempi più noti.
Su un versante più tradizionale, poi, in qualsiasi discorso sulla nuova creatività legata alla musica classica non si può prescindere da quell’eccezionale “case study” che è la carriera di Ludovico Einaudi, protagonista indiscusso non solo in Italia ma nel mondo, con numeri in streaming che farebbero gola a tanti rapper.
La musica classica e le sfide del digitale
La musica classica – usiamo pure questo termine per semplicità, anche se impreciso – oggi si trova a un bivio, strattonata com’è sia dal peso dell’enorme patrimonio del passato sia dalla necessità di migrare anch’essa nel mondo digitale e di intercettare nuove fasce di pubblico. Un processo ancora in fieri e tutt’altro che scontato (a partire dalla persistenza di schemi mentali duri a morire). Ma, com’è noto, la pandemia ha riacceso l’interesse di un pubblico anche giovane verso generi solitamente considerati “elitari” come la classica e il jazz (+17% fra gli under 35 fra aprile 2019 e aprile 2020, secondo una ricerca condotta all’epoca da Deezer).
Insomma, streaming e social rappresentano per la musica classica un’opportunità, più che un colpo mortale. E anche nel nostro paese nascono label espressamente dedicate all’esplorazione dei nuovi media e delle nuove esperienze artistiche.
Ne parliamo con Mirko Gratton, managing director di Classics & Jazz di Universal Music Italia. La divisione comprende vere istituzioni del genere come Decca Records (per la quale pubblica lo stesso Einaudi) e Deutsche Grammophon.
L’intervista a Mirko Gratton
La tua attività professionale è da sempre legata alla musica classica. Come riassumeresti l’evoluzione di questo specifico mercato nel corso degli ultimi decenni?
In 36 anni di lavoro ho davvero avuto modo di seguire cambiamenti incredibili: il lancio del compact disc, la fine improvvisa dell’LP, rifiutato da tutti come obsoleto, il boom e la successiva fine della musicassetta, il lancio (senza particolare successo) di formati come la musicassetta digitale e il laserdisc, il tiepido successo del DVD, e da ultimo il download, la rinascita dell’LP e lo streaming digitale.
L’ultimo passo ha una particolarità. Forse per la prima volta nella storia della musica registrata un nuovo genere di ascolto non è partito dalla musica classica, che tradizionalmente ha guidato i progressi tecnologici nel passato. Tutto ciò naturalmente ha creato qualche ritardo nell’approdo del consumatore medio della classica alle nuove tecnologie, ma ci stiamo riprendendo e siamo molto ottimisti.
Che impatto ha avuto la nascita dello streaming sul mercato della musica classica?
La prima reazione è stata, inutile nasconderlo, di diffidenza. Innanzitutto per il fatto che i nostri appassionati tipici sono di età adulta, o in vari casi avanzata, e non molto propensi ad ascolti in formato digitale.
Una grande difficoltà è stata – e in parte è tuttora – che le principali piattaforme non sono state pensate in primo luogo per la musica classica. Quindi ci sono stati problemi di varia natura che solo in parte sono stati risolti: le difficoltà nella ricerca, dovute all’uso delle lingue e alla traslitterazione per artisti e compositori di area russa e slava o ai metadati, l’assenza di informazioni dettagliate sui cast, delle note di copertina, la qualità del suono.
Ma piano piano i nostri consumatori si stanno abituando, e le piattaforme stanno cercando di sopperire ai problemi. Sono anche nate piattaforme pensate per la musica classica, e questo è molto apprezzabile. E anche per la musica classica lo streaming ha portato a una crescita dei fatturati, non certo a una diminuzione.
In tema di streaming, il periodo pandemico ha riacceso l’interesse di certo pubblico (anche giovane) per generi spesso considerati “elitari” come la classica e il jazz. Quali sono le opportunità di crescita del repertorio classico in streaming? E come si articola oggi il pubblico della classica?
È molto importante il fatto che il pubblico si è trovato davanti agli occhi la disponibilità di generi nuovi, senza la paura di dover chiedere o di sembrare disinformati. Questo ha dato libero sfogo alla curiosità mettendo fine alla timidezza. Dall’altro lato l’esplosione dell’offerta, non sempre di qualità, anche nel genere classico, rischia anche di rendere più complessa la ricerca.
La sfida per il futuro è di stimolare un ascolto più attivo, non subìto passivamente, che privilegi registrazioni di valore artistico e tecnico. E di convincere il pubblico dello streaming che la musica classica non è solo musica per concentrarsi o rilassarsi, ma ha una grande varietà di contenuti, a volte impegnativi. È espressione di filosofie, di valori, di epoche. Tutto ciò rischia a prima vista di suonare ostico al cosiddetto neofita, ma di fatto lo è assai meno di quanto sembri.
Se posso dare un consiglio è di osare di più, di ricordarsi che le playlist sono il punto di partenza di un mondo articolato e meraviglioso. Da questo punto di vista lo streaming è meraviglioso. Essere curiosi non costa niente, e se qualcosa non piace si può sempre cambiare e cercare altro.
Immagino che nonostante tutto i supporti fisici continuino ad avere una preponderanza maggiore che in altri generi musicali. Ci puoi fornire qualche dato per quantificare il fenomeno? E qual e la modalità di acquisto prevalente: negozio di dischi o e-commerce?
I supporti fisici sono molto meno importanti di quanto si pensi. Certo, la gente è ancora affezionata all’oggetto fisico, come dimostrano le vendite post-concerto. Ma la realtà è che l’ascolto digitale funziona sempre di più e la vendita fisica sempre meno. Anche per il fatto che sono diminuiti tantissimo i punti vendita e gli assortimenti fisici disponibili.
L’e-commerce ovviamente ha un peso moto maggiore di alcuni anni fa. Difficile fornire dati, la situazione si evolve continuamente, ma il consumo digitale ha sorpassato di gran lunga quello fisico, anche nella musica classica.
Parlando di musica classica oggi non si può non menzionare Ludovico Einaudi, un’eccellenza mondiale – oltre che una potenza in streaming – che pubblica proprio con Decca. Quali sono le strategie messe in campo da Universal nella gestione della produzione discografica di un artista richiestissimo in tutto il mondo? Quali le sinergie fra Universal Music Italia e Universal Music Group?
Ludovico Einaudi è un caso interessantissimo, per molti versi unico. Va detto che l’artista ha creato nel tempo, con perseveranza e determinazione, un filone musicale che tanti cercano di imitare, ma a cui ha conferito caratteri di unicità incontestabili.
Si tratta di un artista assai geloso della propria indipendenza e creatività, che sarebbe davvero impensabile pensare di guidare. Certo, Decca ha avuto la prontezza e la disponibilità di affiancarlo, garantendogli completa autonomia artistica, e mettendo a disposizione la propria forza distributiva e il proprio know-how, sia per la distribuzione fisica che digitale. Sono sotto gli occhi di tutti la ricchezza e la varietà dell’offerta nei format fisici e digitali, la qualità del design e del packaging, la determinazione nella promozione e la capillarità della presenza delle sue incisioni nelle varie piattaforme.
Con artisti e con strutture come quella di Ludovico Einaudi è un vero piacere lavorare. E i risultati sono paragonabili a quelli delle star del mondo digitale, con ascolti trasversali su platee e pubblici enormi.
Un altro tassello importante del vostro catalogo, più orientato sulla classica in senso stretto, è rappresentato da Maurizio Pollini. Raggiunge un target di pubblico analogo a quello di Einaudi o ha una sua specificità?
Maurizio Pollini ha un carattere più tradizionale classico, per cui ha una popolarità enorme, certo, ma un target molto più definito. Lo si può senz’altro includere fra gli artisti più conosciuti, e rappresenta una vera bandiera della musica classica e di Deutsche Grammophon, ma da un pubblico di appassionati e conoscitori numericamente inferiore. Per intenderci, un pubblico senz’altro più tradizionale, che deve ancora trasferirsi in parte nel mondo digitale.
L’eccellenza italiana nella classica è sancita anche dall’autorevolezza di direttori d’orchestra come Muti o Chailly. Quanto è attrattivo il richiamo a questi grandi nomi nella vendita (magari anche all’estero) di prodotti fisici? Anche in streaming è un fattore rilevante?
I grandi artisti sono da sempre parte del DNA delle nostre etichette, che hanno fin dall’inizio ricercato l’eccellenza artistica mettendo a disposizione le migliori risorse tecniche. Di certo continuerà ad essere così, nel fisico come nel digitale. E naturalmente il pubblico apprezza l’eccellenza a prescindere dal mezzo di fruizione. Certo, nel digitale si scontano le difficoltà tecniche cui accennavo, ma è solo una questione di tempo. Non esistono alternative alla ricerca dell’eccellenza.