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Musica e intelligenza artificiale: quello che c’è da sapere

Rischi e opportunità, stato dell’arte e prospettive future della tecnologia che determinerà la musica a venire

Autore Billboard IT
  • Il14 Dicembre 2023
Musica e intelligenza artificiale: quello che c’è da sapere

Foto di Possessed Photography / Unsplash

Da quando viviamo nel mondo digitalizzato, le industrie creative sono puntualmente fra le prime ad essere investite dalle ondate di innovazione. La musica non fa eccezione, anzi si trova spesso in prima linea nei processi di cambiamento, nel bene e nel male. Non sempre infatti il nuovo attecchisce con facilità, vuoi per una fisiologica difficoltà ad abbandonare mentalità e abitudini consolidate (Napster docet), vuoi perché il mercato di fatto lo respinge (come il fenomeno NFT, che dopo le iniziali prospettive di futuro della distribuzione e delle economie musicali appare oggi infinitamente ridimensionato). Nell’ultimo quarto di secolo pochi cambiamenti hanno stimolato, appassionato, spaventato la musica come l’avvento dell’intelligenza artificiale generativa.

L’intelligenza artificiale generativa e la musica

Quel secondo aggettivo, “generativa”, è fondamentale da tenere a mente. Perché l’intelligenza artificiale in quanto tale è diffusa nell’uso comune da tanti anni: gli algoritmi che personalizzano per il singolo utente i suggerimenti delle piattaforme di streaming e i contenuti del feed dei social altro non sono che una forma di intelligenza artificiale. La rivoluzione è che oggi assistiamo al proliferare di piattaforme, sistemi e modelli di intelligenza artificiale (alla portata di tutti) che sono in grado di dare luogo a lavori creativi che fino a ieri pensavamo essere di esclusivo appannaggio dell’intelligenza umana, come appunto la musica.

Ad oggi l’AI (da qui in avanti per brevità sottintenderemo l’aggettivo “generativa”) sembra ricadere più nella categoria del “nuovo che spaventa”. Perché una cosa è certa: da qui non si torna più indietro. A prescindere dagli sviluppi della tecnologia, dalle sue applicazioni pratiche, dai limiti normativi che verranno fissati, l’AI è qui per restare.

L’hype per l’AI

Ma se di AI si parla da tempo, anche in ottica generativa, perché l’hype è esploso proprio quest’anno? Lo chiediamo ad Anna Zò, operations manager di Music Innovation Hub, impresa sociale e osservatorio sugli sviluppi dell’industria musicale: «Il principale motivo è il miglioramento delle reti neurali», spiega Zò. «Da quando OpenAI ha lanciato ChatGPT 3, ci si è accorti di come i modelli di intelligenza artificiale possano generare contenuti qualità e precisione crescente, con applicazioni in tanti settori, dalla traduzione simultanea all’arte (compresa la musica) generativa».

Il miglioramento della potenza di calcolo ha reso possibile l’addestramento di modelli più grandi, di conseguenza determinando output generativi di qualità più elevata. «Questa accelerazione tecnologica», continua Zò, «ha prodotto una reazione a catena di risposte: da parte della finanza (con crescenti investimenti), del legislatore (con non pochi scontri su questioni etico/legali), di creativi, sviluppatori, ricercatori, righstholder. Ed è subito hype».

Le piattaforme più in voga

“Addestramento” (o “training” in inglese) è un’altra parola chiave quando si parla di AI, perché i sistemi generativi non possono partire dal nulla. Per svolgere le proprie funzioni hanno bisogno di una grande quantità di cosiddetti “input”, ovvero dati e informazioni da rielaborare (concretamente, brani o tracce già esistenti, nel caso della musica). E ciò pone una serie di problemi, come vedremo.

L’espressione “intelligenza artificiale generativa” riassume in realtà una moltitudine di approcci, sistemi e applicazioni pratiche. Fra le piattaforme oggi più notevoli secondo Anna Zò ci sono Amper (scrittura di testi di canzoni), Mubert (sintesi vocale), Forte! (mixing e mastering), AudioShake (divisione degli “stem”, le parti costitutive di una traccia), Runway (creazione di video). «Una piattaforma molto promettente è DAACI, un nuovo ecosistema di tool di intelligenza artificiale studiato per la composizione, l’arrangiamento e la produzione di musica. L’aspetto più interessante è l’approccio “etico” di DAACI, che non basa la propria AI su database di sample preregistrati o musical royalty-free, bensì allena l’algoritmo in tempo reale attraverso gli input dei compositori stessi che la utilizzano».

I fenomeni da contrastare

Non c’è dubbio che, in assenza di uno sforzo congiunto di tutti i player del settore e anche di interventi legislativi, una diffusione incontrollata dell’uso di AI porrebbe seri problemi per l’industria musicale, i cui effetti vediamo già oggi. È noto, per esempio, che ogni giorno 120mila nuove tracce vengono caricate sulle piattaforme di streaming. Molte di esse sono create su scala industriale dall’AI (con risultati di qualità molto bassa) e nella maggior parte dei casi non generano che una manciata di stream ciascuna (circa il 40% ha meno di dieci riproduzioni e addirittura il 25% non ne ha nessuna, secondo Luminate).

«È un fenomeno che inquina l’intero ecosistema musicale», commenta Enzo Mazza, CEO di FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana). «Le piattaforme dovrebbero contrastarlo in maniera efficace perché danneggia gli artisti che realizzano contenuti di qualità».

Di recente Hollywood si è paralizzata per un doppio sciopero (sceneggiatori e attori) le cui rivendicazioni riguardavano anche la “concorrenza” dell’AI. Guardando alla musica, artisti, songwriter, musicisti, produttori devono sentirsi minacciati da questa concorrenza? Ci risponde Paolo Bigazzi Alderigi, editore musicale e docente presso il SAE Institute di Milano: «Questi processi di trasformazione sono presenti nelle pratiche della creazione dell’arte e dell’immaginario da sempre. Esiste una relazione tra la tecnica come strumento e i linguaggi come forma d’arte. Credo che potrà sentirsi minacciato solo chi non si confronterà con questi strumenti, anche solo per superare soglie qualitative e quantitative di produzione».

Ad ogni modo, il punto centrale che sottolineano tutti gli intervistati (così come la music industry nel complesso) è il tema dei diritti. Diritti della personalità e della privacy (pensiamo per esempio al fenomeno, potenzialmente pericolosissimo, dei deepfake), ma in primo luogo diritti d’autore.

L’uso dell’AI infatti pone urgentemente all’ordine del giorno il tema del copyright. Come tutelare gli artisti dal cui lavoro i sistemi di AI prendono “ispirazione”? E un brano AI-generated potrebbe mai generare royalties di per sé? Enzo Mazza: «Anzitutto l’importante è costringere le piattaforme a rendere trasparente il sistema con cui addestrano l’AI. I titolari dei diritti andrebbero coinvolti per ottenere le licenze d’uso del contenuto. Riguardo alla seconda domanda, la giurisprudenza si sta orientando a non riconoscere diritti ad opere realizzate esclusivamente dall’AI».

Gli fa eco Anna Zò: i dati con cui vengono addestrate le piattaforme «devono essere selezionati, raccolti e trattati secondo principi di trasparenza, consenso e (in un mondo ideale) equa remunerazione per l’utilizzo nei confronti dei “possessori” delle informazioni che vengono utilizzate».

Urge quindi un intervento legislativo, magari a livello europeo, sulla falsariga di quanto fatto con la direttiva sul copyright. Spiega Bigazzi Alderigi: «Il parlamento europeo ha approvato alcuni emendamenti per un regolamento volto a disciplinare l’ambito con l’AI Act del giugno di quest’anno (misura poi passata pochi giorni fa ma non al momento della stesura di questo articolo, ndr). In questo documento sono evidenziati divieti e restrizioni, tra cui quella sull’utilizzo di materiale protetto da copyright per l’addestramento di AI generative».

E a livello italiano?

L’articolo 70 ter della legge sul diritto d’autore definisce il “text e data mining” (TDM) come “qualsiasi tecnica automatizzata volta ad analizzare grandi quantità di testi, suoni, immagini, dati o metadati in formato digitale con lo scopo di generare informazioni, inclusi modelli, tendenze e correlazioni”. Il comma quater, in base alle eccezioni della direttiva europea sul copyright, prevede che la concessione all’estrazione e conseguente riproduzione di dati, a fini diversi da ricerca scientifica, sia riservata al titolare dei diritti (è il cosiddetto diritto di opposizione).

«Ciò suggerisce un’estensione al diritto di concedere o meno l’estrazione e riproduzione di contenuti sotto copyright per le attività di addestramento delle AI», continua Bigazzi Alderigi. «In tale direzione si è già mossa la collecting francese Sacem, che ha esercitato il diritto di opposizione per conto dei propri associati. Tutte le attività di data mining sulle opere del repertorio Sacem necessiteranno di una preventiva autorizzazione per garantire un’equa remunerazione ad autori, compositori ed editori musicali».

Le opportunità

Al netto della spinosa questione del copyright, è tuttavia innegabile che un uso etico ed equo dell’AI offra enormi possibilità all’industria musicale, ancora tutte da esplorare. Mazza ne è sicuro: «Ci sono grandi opportunità nell’utilizzo di tecnologie di AI per il supporto all’attività creativa, al marketing e alla promozione e perfino nell’ambito del cosiddetto “user-generated content”. Il coinvolgimento dei fan grazie all’AI creerà ulteriori opportunità di monetizzazione per gli artisti».

Per Bigazzi Alderigi sarà soprattutto interessante indagare con l’AI «le possibilità di modulazione del suono e del controllo dinamico dei suoi parametri per ottenere nuovi timbri sonori. Ricordiamo che si sono definiti interi generi musicali (come la acid house a partire dal sintetizzatore Roland TB-303) e sono emerse caratteristiche distintive (come l’autotune) la cui implementazione ha generato nel tempo critiche ma anche utilizzi virtuosi».

L’industria musicale e l’intelligenza artificiale

Non per niente, a differenza di quanto avvenne con Napster, quando l’industria musicale si fece cogliere clamorosamente impreparata di fronte alla transizione digitale, questa volta l’industry gioca d’anticipo e abbraccia, seppur con cautela, le potenzialità della nuova tecnologia. Si veda per esempio la partnership strategica su questo fronte fra Universal Music e Google.

Cosa ha determinato il cambio di approccio? Anna Zò: «La strada della collaborazione è l’unica a far sì che l’AI sia uno strumento a servizio dell’ecosistema musicale invece che la sua condanna a morte. Le major giocheranno un importante ruolo nella battaglia per la difesa del copyright ma anche nel supporto a nuovi tool di musica generativa, per esempio con accordi di licenza dei cataloghi per l’addestramento dell’AI. I più pessimisti potrebbero pensare che alle major basterà mantenere la propria market share sulle piattaforme a prescindere dal fatto che le tracce siano prodotte da algoritmi o da artisti in carne e ossa».

Dunque Heart on My Sleeve, la traccia del producer Ghostwriter con le voci fake di Drake e The Weeknd, un giorno sarà ricordata come oggi noi ricordiamo la nascita di Napster? «Direi più come la pecora Dolly», risponde Bigazzi Alderigi. «Napster ha intercettato un mercato che stava esaurendo modelli e dinamiche che, con il senno di poi, sono rimaste nel secolo scorso. La provocazione di Ghostwriter ci aiuta a ricordare che esiste un’attitudine ricombinante, ludica, esperienziale nel consumo e nella produzione di musica (storicamente attuata dai DJ, per esempio). L’uso dell’AI può aprire nuove frontiere della musica e dei contenuti audiovisivi per apprendere nuovi significati, amplificare i sensi ed espandere la cultura della persona».

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