C’è streaming oltre Spotify: 5 piattaforme leader a livello locale nel mondo
Globalmente il gigante svedese è imbattibile. Ma in giro per il pianeta ci sono servizi di streaming che contendono a Daniel Ek il primato proprio nei mercati in più veloce crescita
“Nutella” per dire “crema di nocciole”. “Borotalco” per dire “polvere di talco”. “Swiffer” per dire “panno cattura polvere”. E così via. Anche se non sempre ce ne rendiamo conto, la figura retorica dell’antonomasia è fra le più utilizzate nella vita di tutti i giorni: con il suo potere di sintesi ci aiuta nella lista della spesa e nelle conversazioni quotidiane. In ambito musicale, ormai da molti anni, non c’è dubbio che l’equazione più diffusa sia quella che vede il termine “Spotify” come sinonimo di “streaming” tout court.
Il primato di Spotify nello streaming
Naturalmente il fenomeno non è casuale né puramente semantico: certifica la posizione di leader di mercato dell’azienda guidata da Daniel Ek e la “awareness” che ne consegue presso la gente comune. Ricordiamo alcuni dati: Spotify ha chiuso il 2022 con 489 milioni di utenti attivi (+20% su base annua), di cui 205 milioni di iscritti premium, con una traiettoria di crescita assai regolare negli anni; 11.7 miliardi di euro di ricavi (+21% sul 2021); un catalogo di circa 80 milioni di brani, disponibile in 183 paesi.
Insomma, oggi come oggi sarebbe impensabile sfidare il gigante svedese sul terreno di una competizione globale. Anche se non mancano segnali di cambiamento, per di più dal mercato musicale più importante: secondo un report diffuso da Activate Consulting, negli Stati Uniti Spotify e Amazon Music sarebbero testa a testa nella penetrazione del target, con un equo 35% degli intervistati che dice di aver usato una o l’altra piattaforma di streaming nell’ultimo mese.
Altri storici competitor, come Deezer, cambiano strategia e si orientano sull’erogazione di servizi B2B. L’azienda francese, per esempio, ha annunciato una partnership con Sonos, produttore di smart speaker di qualità: prenderà il posto di Napster nell’infrastruttura tecnologica del servizio premium Sonos Radio HD, a partire dalla disponibilità del proprio catalogo di 90 milioni di brani.
Il fermento nei mercati emergenti
Ma il fermento più interessante è in corso in quelle aree del mondo che oggi erroneamente consideriamo periferiche e che invece determineranno la fisionomia del mercato di domani: Africa subsahariana, Medio Oriente, Russia, paesi asiatici. Nei cosiddetti “mercati emergenti” Spotify ha una market share ridotta, se non addirittura minoritaria. Le cause sono varie e complesse, a partire da un tardivo approdo della piattaforma svedese in questi mercati che ha dato un vantaggio competitivo ai player locali, attivi da più tempo.
Spotify ad oggi è leader di mercato soprattutto nel mondo occidentale, dunque in mercati avanzati e tendenzialmente molto saturi. Ma sta perdendo la corsa in quelle macro-regioni che hanno i più ampi spazi di crescita nel medio e lungo termine. Se è vero che la musica sarà sempre meno anglo-centrica, cosa succederà quando mercati come quelli sopra citati cresceranno portando centinaia di milioni di nuovi utenti alle piattaforme locali?
Facciamo allora una panoramica su cinque piattaforme di streaming leader (o in forte crescita) a livello regionale da osservare con attenzione.
5 piattaforme di streaming emergenti
Anghami (Medio Oriente e Nord Africa)
Fondata a Beirut nel 2012, Anghami è da sempre leader di mercato nel MENA (Middle East and North Africa). Qualche dato: 73 milioni di utenti, una market share del 58%, un catalogo di 57 milioni di brani, uffici in quattro paesi (Libano, Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti).
Sin dall’inizio, la mission dichiarata della piattaforma è stata quella di valorizzare il repertorio della musica araba, parallelamente alla disponibilità del catalogo internazionale: una strategia “glocal” che ha certamente contribuito al suo posizionamento.
«Quella di Anghami è una storia di successo globale costruita sulla localizzazione», confermava Eddy Maroun, co-fondatore e CEO dell’azienda, in un’intervista a Billboard Italia. «Il nostro focus principale sarà sempre la cultura araba, anche perché riscontriamo un ampio gap fra la domanda di tali contenuti e la loro creazione: se la musica araba rappresenta l’1% del nostro catalogo, la sua fruizione si aggira intorno al 60%».
Gli ultimi due anni hanno visto importanti evoluzioni per Anghami: prima il trasferimento della sede principale da Beirut ad Abu Dhabi e poi la quotazione al NASDAQ – è la prima volta che una tech company araba raggiunge questo risultato. «Il motivo per cui abbiamo intrapreso questa sfida è avere un focus mirato sulla crescita», spiega Maroun sul debutto in borsa, toccando poi un punto cruciale: «Il mondo arabo è un mercato di 450 milioni di persone di cui solo il 5% viene intercettato».
Recentemente l’azienda ha comunicato di aver chiuso il 2022 a 48,1 milioni di dollari di revenue, con una crescita del 35,6% su base annua. In crescita anche il numero di abbonati premium: +21%, a 1,52 milioni di iscritti.
Boomplay (Africa subsahariana)
Grazie all’esplosione della scena Afrobeat, ormai da diversi anni gli occhi degli addetti ai lavori sono puntati sul continente africano. A spingere l’industria locale è un pubblico giovane, numeroso, affamato di digitale e connettività, al punto che molte aziende internazionali puntano specificamente su questo mercato (come nel caso di Mdundo, piattaforma lanciata dal gigante danese Nielsen).
Nata nel 2015 in Nigeria e oggi controllata da capitali cinesi, con i suoi 60 milioni di utenti attivi Boomplay è l’app di streaming musicale più utilizzata in Africa. Ha uffici anche in Ghana, Kenya, Tanzania, Camerun e Costa d’Avorio. L’app è preinstallata su tutti gli smartphone del gruppo Transsion, leader di mercato in Africa (ma – di nuovo – di proprietà cinese: del resto l’influenza del “dragone” nel continente è cosa nota).
La piattaforma opera nel contesto di un mercato tipicamente caratterizzato da un’estrema frammentazione e da livelli di pirateria ancora alti: l’obiettivo di offrire agli utenti un unico punto di riferimento legale è la mission dichiarata. Negli ultimi anni ha chiuso accordi di licenza con major come Universal e Warner, e i suoi stream sono conteggiati nelle classifiche globali di Billboard.
Yandex.Music (Russia)
Fino allo scoppio della guerra in Ucraina, nonostante le storiche diffidenze fra Ovest ed Est poi drammaticamente riesplose in conflitto, l’industria musicale occidentale aveva iniziato ad attenzionare il mercato russo in quanto promettente terreno di sviluppo. Spotify approdò nel paese nel 2020, salvo poi chiudere gli uffici all’indomani della “operazione militare speciale”.
Nato come motore di ricerca, Yandex è oggi un enorme conglomerato di app e servizi digitali che vanno dalla mobilità (taxi, car sharing) ai pagamenti contactless, dal food delivery alla musica. Yandex.Music rappresenta appunto quest’ultima incarnazione. È disponibile anche in Kazakistan, Armenia, Azerbaigian, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Georgia, Moldavia, Kirghizistan, Bielorussia e – unico paese al di fuori dello spazio ex sovietico – Israele, dove è stata lanciata nel 2018.
La piattaforma – che nella versione premium costa 199 rubli al mese (2.50 euro al cambio attuale) – sfrutta tecnologie avanzate che consentono una notevole personalizzazione: una delle sue caratteristiche di punta sono gli algoritmi evoluti, basati su intelligenza artificiale, capaci di generare playlist estremamente su misura per l’utente.
Gaana (India)
Con il suo miliardo e mezzo di abitanti e la rapida diffusione di smartphone e rete 4G, va da sé che il subcontinente indiano è fra i territori che presentano enormi opportunità di sviluppo per l’industria musicale.
Il paese è talmente popoloso da “fagocitare” intere scene musicali estere: per esempio su Spotify il K-pop troverebbe in India il suo mercato più importante, secondo dati diffusi dalla piattaforma. Ad ogni modo, come prevedibile, è il repertorio locale a farla da padrone. Su una piattaforma come Gaana l’85% degli stream sono generati da musica in lingua Hindi, fra canzoni pop e colonne sonore della grande industria cinematografica locale.
La piattaforma fu lanciata nel 2010. Spotify, arrivato in India solo nel 2019, nel 2015 aveva una quota di mercato del 15%, a fronte del 30% di Gaana (dati Statista): un altro caso di vantaggio competitivo dato dalla più lunga “anzianità” e dall’identificazione precisa con il proprio territorio di appartenenza.
KuGou (Cina)
Il paese più popoloso del mondo non poteva non figurare in questa lista. Quando si parla di Cina e musica si incappa per forza in un nome: Tencent.
L’enorme holding con base a Shenzhen (appena fuori Hong Kong) è da sempre leader dell’intrattenimento multimedia nel paese, al punto che la sua divisione Tencent Music possiede non una, non due ma tre piattaforme di streaming: QQ Music, Kuwo e la più grande, KuGou, fondata nel lontano 2004 (prima di Spotify, dunque).
Nel suo complesso, Tencent Music – di cui comunque Spotify detiene l’8.6% di quote – sul terzo trimestre 2022 dichiarava oltre un miliardo di dollari di ricavi, di cui 316 milioni derivanti da abbonamenti, per un totale di 85 milioni di utenti premium. Numeri che potrebbero salire notevolmente negli anni a venire.