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PMI – Produttori Musicali Indipendenti: intervista al presidente Mario Limongelli

Mario Limongelli è il numero uno di PMI (Produttori Musicali Indipendenti). Oggi se avesse un fiorino in tasca lo punterebbe su Emis Killa. Ma soprattutto scommetterebbe sul mercato indie italiano: corre veloce e rappresenta quasi un terzo dell’industria discografica nel nostro Paese

Autore Michele Chicco
  • Il17 Febbraio 2018
PMI – Produttori Musicali Indipendenti: intervista al presidente Mario Limongelli

Mario Limongelli è il numero uno di PMI (Produttori Musicali Indipendenti). Da anni frequenta i club in tutta Italia e con orecchio attento cerca di scovare i migliori talenti – che siano più o meno espressi, poco importa. L’entusiasmo è quello degli esordi ma successi e delusioni hanno affinato il suo gusto, tanto da permettergli di distinguere un talento puro da un “brocco” dopo poche note. Oggi se avesse un fiorino in tasca lo punterebbe su Emis Killa: «Tra non molto diventa il top del top», dice. Ma soprattutto scommetterebbe sul mercato indie italiano: corre veloce e rappresenta quasi un terzo dell’industria discografica nel nostro Paese.

Mario Limongelli

Finalmente?

Il mercato musicale indipendente italiano vale il 28% delle vendite: il risultato è soddisfacente ma noi cerchiamo sempre di far meglio perché siamo veri imprenditori e lavoriamo per far aumentare il nostro fatturato. Certo, non arriveremo mai al 50% con le major: sono gruppi internazionali che prendono risorse anche da altri settori. Ma possiamo puntare tranquillamente sempre più in alto.

Guardando la composizione del mercato indipendente italiano – ma non solo – impressiona la quota del digitale: i ricavi da streaming e download superano i dischi venduti in negozio, 28 milioni contro 27.

Lo streaming in termini di fatturato va bene, ma il supporto fisico tiene ancora: con le vendite del prodotto fisico siamo al 26% e del digitale al 31%, con un’importante crescita del fatturato. Ma lo streaming bisogna monitorarlo per bene. Fa parte di un certo utilizzo di musica da ascolto, diciamo, distratto: abbiamo paura che così si arrivi a un depauperamento della cultura musicale. Le informazioni che arrivano agli utenti che ascoltano la musica in streaming sono molto stringate, limitate a titolo e interprete: mancano gli elementi che rendono colti i fruitori della musica.

Cosa bisogna fare?

L’invito alle piattaforme streaming è di dare più informazioni possibili sui prodotti. Basterebbe dedicare spazio agli arrangiamenti. L’obiettivo deve essere quello di rendere edotti gli ascoltatori per stimolarli a comprare i dischi. Temo che in un prossimo futuro lo streaming sarà usato solo come sottofondo, un dolce accompagnamento senza però alcun valore.

Perché per i giovanissimi sono così importanti gli autori indipendenti?

La musica indipendente si è sempre distinta per la sua capacità di essere un vero laboratorio discografico: nelle nostre botteghe si fa ricerca e sviluppo, intercettiamo il desiderio dell’artista e ci sintonizziamo sulla sua stessa frequenza. Lasciamo che i talenti possano dare la massima espressione. Noi siamo pronti a dare tutto il supporto possibile per meglio valorizzare le loro qualità e i loro successi. La storia insegna che tutte le icone della musica italiana sono state scoperte e lanciate da indipendenti: Adriano Celentano, Eros Ramazzotti, Vasco Rossi, Ligabue, Andrea Bocelli sono tutti partiti così.

Qual è la differenza con le major?

Per la major è più facile coltivare i successi. Attingono ai talent, dove a noi non è consentito l’accesso, o acquisiscono chi è avviato da noi verso il successo. Oggi una major ha tanti artisti, tanti problemi, tante “distrazioni”. Invece c’è bisogno di avere un rapporto quotidiano con i talenti per seguirli nel tempo.

Per lunghi anni lo schema è stato chiaro: gli artisti giovani erano indipendenti, quelli affermati e molto popolari invece sceglievano le etichette major. Adesso lo scenario è cambiato, in alcuni casi è stata addirittura ribaltata la lunga tradizione. È solo una questione di fascino?

Adesso ci sono alcuni artisti che si producono da soli e arrivano al successo: Ghali, Brunori, Coez, per esempio. Loro dovranno dimostrare nel tempo la solidità della loro qualità artistica ma senza dubbio il mondo è cambiato e così la promozione degli artisti. Fenomeni musicali nascono nelle loro stesse botteghe e si fanno mini-imprenditori indipendenti: hanno una visione più nuova della musica e per questo credo che abbiano un grande futuro davanti.

Ma davvero mi vuole dire che ogni cantautore può farsi imprenditore?

Se diventeranno aziende più solide di quello che sono all’origine si vedrà in futuro, certo. Fare l’etichetta discografica non è semplice: c’è bisogno di fare impresa. Ma se loro riusciranno a guardare con attenzione al mercato potranno imporsi. Sono gli artisti che vanno sul palco a prendersi il consenso del pubblico live e bisogna avere capacità e forza per organizzare tutto. All’inizio sembra facile: metti in rete un file audio e sei un fenomeno. Poi arriva il momento in cui la gente paga un biglietto per godersi il tuo concerto e lì si capisce quanto uno è veramente artista e quanto è valido il progetto. Se non hai nulla da dare al pubblico si apre un problema.

Certo, il pubblico oggi si appassiona facilmente ad un artista, ma con altrettanta scioltezza cambia i suoi gusti. Chi è sul mercato deve saper allargare il proprio mercato ma l’internazionalizzazione è uno dei grandi limiti dell’indie italiano. Che fare?

Bisogna aprire uffici di music export, non ci sono molte alternative. Dobbiamo individuare qualcuno che gestisca il commercio estero della nostra musica: chiediamo incentivi e sostegno del Ministero dei Beni Culturali e della Siae per esportare buona musica italiana. In questi anni la cultura sta riscoprendo un tesoro, un valore molto importante; adesso bisogna fare il passo successivo: con un po’ di coraggio e organizzazione si deve cercare di promuovere i nostri prodotti portando i nostri artisti a Londra, Parigi, Berlino, in tutta Europa a cantare, possibilmente, in italiano.

Cosa chiede al ministro della Cultura, Dario Franceschini?

Vogliamo che si incominci a valorizzare la musica perché è cultura, patrimonio del Paese. Si prepari un piano quinquennale e si trovino i fondi per far esibire in Europa e negli Stati Uniti i nostri giovani artisti.

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