Rototom Sunsplash, il fondatore: «L’Italia è il paese dove lavoriamo con più difficoltà»
Fondato in Friuli negli anni ’90 come evento di nicchia, il celebre festival reggae di Benicàssim oggi conta oltre 200mila presenze, con un indotto sul territorio stimato in 20 milioni di euro. Ma di tornare in Italia non se ne parla
Torna dal 16 al 22 agosto a Benicàssim, in Spagna, il Rototom Sunsplash, che con le sue oltre 200mila presenze registrate nelle ultime edizioni rimane il festival reggae più grande d’Europa.
La 28° edizione del Rototom Sunsplash si articolerà in sette giorni con centinaia di artisti, provenienti da venti paesi e cinque continenti, e venti aree dedicate su una superficie complessiva di circa 130mila metri quadri. Qui il programma completo dell’edizione 2023 del festival.
Visto che di recente sono circolate voci sull’imminente arrivo del Primavera Sound a Torino (poi rettificate dagli organizzatori stessi), abbiamo colto l’occasione per analizzare il “case study” di un festival che ha seguito il moto inverso: dall’Italia è emigrato in Spagna (felicemente). Facciamo il punto con il fondatore e direttore del Rototom Sunsplash, Filippo Giunta.
L’intervista a Filippo Giunta, fondatore del Rototom Sunsplash
Da molto tempo il Rototom è il principale festival del suo genere in Europa e uno dei più grandi in generale, considerando il numero di presenze. C’è stato un momento in particolare che ricordate come punto di svolta?
Il festival si è trasformato ed è cresciuto anno dopo anno. A partire da quel lontano 1994, anno in cui un migliaio di amanti del reggae italiano, soprattutto musicisti e addetti ai lavori, risposero al nostro appello per dar vita al “primo raduno nazionale reggae”.
A partire da quell’edizione l’evento si è andato ingrandendo, cambiando varie volte ubicazione per poter contenere un pubblico ogni anno più numeroso. Anno dopo anno sono andati aumentando anche i giorni di durata dell’evento. Siamo passati dai due giorni della prima edizione ai dieci giorni delle ultime edizioni italiane ospitate ad Osoppo, in provincia di Udine.
In questo percorso le tappe fondamentali dell’evoluzione del festival sono state principalmente due. Nel 2000, con l’approdo a Osoppo in un grande parco naturale di 25 ettari, il festival passa da essere un evento nazionale di quattro giorni a una vera e propria vacanza di dieci giorni con un respiro molto più internazionale, essendo Osoppo molto centrale rispetto alla geografia europea. La stessa dicitura “Raduno reggae nazionale” viene sostituita dal più appropriato “European reggae festival”.
L’altro cambio molto importante fu nel 2010, quando, dopo anni di persecuzioni politiche e giudiziarie, l’organizzazione decide di espatriare in Spagna. Da quel momento il festival si internazionalizza mondialmente, anche grazie al collegamento diretto della Spagna con l’America latina. Esplode in termini di pubblico e di notorietà internazionale grazie alle nuove condizioni ambientali e di lavoro, non più penalizzate da assurdi impedimenti burocratici e da persecuzioni politiche.
Il festival, premiato nel 2010 perfino dall’Unesco come evento esemplare per la promozione della cultura di pace e non violenza, passa dalle 10mila persone al giorno delle edizioni italiane alle oltre 30mila presenze giornaliere delle edizioni spagnole.
Spesso, quando si parla di festival, si dice che in Italia oltre alle agevolazioni lato amministrativo mancherebbe proprio “la cultura dei festival”. Siete d’accordo? Gli spagnoli hanno una mentalità diversa?
Totalmente d’accordo: la Spagna è il paese che ospita più festival di tutta Europa, e forse di tutto il mondo. I festival – se ne svolgono più di 900 nel corso dell’anno – sono visti come una vera e propria ricchezza. Sia come richiamo turistico che come industria – quella musicale – che genera ricchezza e posti di lavoro.
Per chi organizza, è una vera e propria manna. Perché si può attingere a un vastissimo parco lavoratori professionali: dai montatori ai tecnici, dal personale di sicurezza ai fornitori di servizi.
In Italia era difficile trovare personale qualificato. Quasi sempre dovevi fare corsi di formazione per sopperire alle lacune dovute alla mancanza di esperienza. In Spagna, grazie al gran numero di eventi, ci sono professionisti che lavorano tutto l’anno attorno alla musica dal vivo. Si specializzano nel loro settore e non rischi di perderli nel corso degli anni perché costretti a cercarsi un altro lavoro più stabile per vivere.
Inoltre, per migliaia di persone, giovani e meno giovani, andare ai festival è ormai una consuetudine consolidata. È facile attingere a un pubblico vastissimo di utenti per assicurare il successo della tua manifestazione.
Avete calcolato qual è l’indotto del vostro festival sul territorio?
Esiste uno studio dell’Università di Castellón de la Plana, capoluogo della nostra provincia, che ha dimostrato come l’impatto del Rototom sul territorio sia di circa 20 milioni di euro l’anno.
Come nasce il contatto con Noam Chomsky? È stato difficile convincerlo?
Il contatto con Noam Chomsky, uno dei pensatori più importanti della nostra epoca, nasce da un lungo lavoro di ricerca e di relazioni che, nel corso degli anni, siamo riusciti a sviluppare qui nel territorio spagnolo con associazioni, giornalisti e attivisti impegnati nel sociale e nel rispetto per l’ambiente, temi molto cari allo stesso Chomsky.
Ognuno di loro ci ha dato una mano per fargli arrivare il nostro invito. Una volta riusciti nel nostro intento, si è subito rivelato molto disponibile a partecipare. La sua età non gli permette di viaggiare oltreoceano. Ma sarà comunque un grande onore per tutti noi poterlo ascoltare in video-conferenza il 17 agosto nell’incontro che aprirà il nostro Social Forum e che dà il nome alla 28° edizione del festival, “United for Peace”.
È ipotizzabile, se non un vero e proprio ritorno in Italia, qualcosa come uno spin-off dell’evento principale?
Rototom organizza e patrocina eventi in ogni dove nel mondo: in Sud America, negli USA, in tutte le capitali europee e perfino in Africa. L’Italia è il paese dove lavoriamo con più difficoltà in assoluto. Criminalizzati dalla politica, vessati dalle istituzioni, perseguitati da un regime di polizia incapace di gestire agglomerazioni di giovani con la dovuta tolleranza e la necessaria professionalità.
L’attuale governo ha ritenuto urgente e prioritario emanare come primo provvedimento una legge per proibire i rave, più che tollerati in tutti gli altri Paesi. Ciò la dice lunga sull’approccio dell’apparato amministrativo nei confronti della musica, dei giovani e degli eventi in generale. In mancanza di un radicale cambio di rotta politica, cosa che non vediamo all’orizzonte, non è pensabile un ritorno del Rototom nel nostro Paese. Un vero peccato.