Album Digs, il mondo dietro una cover (con intelligenza artificiale)
A partire da copertine di album iconici, la pagina social realizza con l’AI suggestivi design d’interni fra il sognante e il distopico. Ma è molto più di un divertissement
«My building has every convenience / It’s gonna make life easy for me». Chissà come David Byrne si sarà immaginato la sua casa dei sogni, quella capace di inebriarlo a tal punto da renderlo uno dei tanti “robot” nella New York alienante del 1977. Don’t Worry About the Government potrebbe costituire un punto di partenza per Adam Kunz, qualora volesse creare un’abitazione ispirata a Talking Heads: 77. Una missione difficile, data la copertina minimale del debutto della band: una scritta verde su uno sfondo rosso. Fermarsi alla cover di un album è però riduttivo, quello che da luglio scorso ha iniziato a fare Adam con la sua pagina Instagram Album Digs (@albumdigs) è un lavoro più profondo: «È come creare un’atmosfera attorno alla musica, un modo per comprendere come il suono influenzi lo spazio e come contribuisca al modo in cui le persone visualizzano la loro musica preferita», spiega Kunz.
La nascita della pagina Album Digs
Adam, un passato come interior designer, ha iniziato a interessarsi alla programmazione e all’intelligenza artificiale l’estate scorsa. Il termine esatto è prompt engineering e consiste nel dare istruzioni quanto più precise all’AI per ottenere il risultato desiderato.
Il 26 luglio di quest’anno è stata lanciata su Instagram la pagina Album Digs, dove, a partire dalla copertina e dal suono di un album, per mezzo dell’intelligenza artificiale Adam crea un’abitazione con tanto di interni ed esterni: «Quello che faccio è sedermi e ascoltare il disco dall’inizio alla fine e buttare giù un moodboard. Inserisco tutte le idee e gli artwork che la musica mi suggerisce nell’AI e comincio a dare suggerimenti che la indirizzino a creare una stanza».
Il primo lavoro pubblicato è ispirato a Dreamland dei Glass Animals. Da allora sono seguiti altri dischi: c’è Nevermind dei Nirvana, che cattura in pieno l’essenza degli anni ’90 e somiglia vagamente alla casa dove vive Tyler Durden in Fight Club; c’è l’abitazione ad alta quota con vista sui grattacieli di New York di Turn On the Bright Lights degli Interpol; o quella basata su Mezzanine dei Massive Attack, dove non avresti mai il coraggio di vivere.
Come lavora Adam Kunz
Adam Kunz fa tutto da solo, al massimo sfrutta qualche idea suggeritagli dalla sua fidanzata o dagli oltre 13mila follower che già, dopo pochi mesi, seguono la pagina. L’unico aiuto concreto il creatore di Album Digs lo riceve per catalogare le migliaia di richieste che gli arrivano ogni settimana.
Adam Kunz ha sempre avuto rapporto stretto con la musica e l’intelligenza artificiale. Nel 2010 diede vita con altri due amici a MOWGLI, un’azienda di social gaming che aveva lo scopo di connettere gli utenti sparsi nel mondo e aiutarli nella creazione. Songster e MashupDJ – che tramite un algoritmo consentiva di unire due tracce, ridurle alla stessa tonalità e spostare degli interi frammenti da una sezione all’altra – erano due delle app ideate dalla società.
Album Digs e l’intelligenza artificiale
Adam Kunz non è spaventato dall’avvento dell’AI. Anzi è convinto che per gli artisti, soprattutto i più piccoli, sia un’arma in più saperla utilizzare combinando la loro arte al prompting. Questo potrebbe, per esempio, evitare loro di assumere dei costosi designer per realizzare i visual 3D dei loro concerti.
«Capisco il timore, ma sono gli stessi discorsi che si sentivano quando uscì Photoshop, finché la manipolazione digitale e la post-produzione non sono diventate a loro volta un’arte. Lo stesso è avvenuto anche nella musica: c’era chi sosteneva che se non suoni uno strumento e utilizzi il computer non sei un musicista. Poi si è visto cosa si può fare con un PC», spiega Kunz. Perché, in fin dei conti, dietro l’AI, quando si tratta di creare qualcosa, ci sono sempre «l’uomo e una massiccia dose di umanità».
L’interesse delle case discografiche
Adam ora sogna di allargare sempre di più il proprio pubblico e attirare l’attenzione delle case discografiche. In parte sembra esserci quasi riuscito, quando ci rivela che alcune band l’avrebbero già contattato per lavorare con loro. Ci si potrebbe chiedere come possa funzionare un’idea del genere. Perché alla base c’è la volontà di cambiare il rapporto tra l’artista e la propria arte, ma soprattutto tra la musica e gli ascoltatori. Esternalizzare e materializzare le loro sensazioni, donando una vita alternativa all’album, in qualche caso revitalizzandolo.
Tra le abitazioni create da Adam, molte sono ispirate a dischi degli anni ‘60 e ’70 con cui la gente può (ri)connettersi. Un fenomeno simile a quello che sta avvenendo su TikTok con brani che vengono riscoperti dalle nuove generazioni. È arte che rivitalizza l’arte, anche se generata con l’ausilio dell’AI, attraverso la condivisione. Condivisione: la parola migliore per definire la musica per come è nata e per come vorremmo che restasse.