Lo stile, il rock e il coraggio di stupire secondo gli Arctic Monkeys
Il tour come una sfida, una missione per la band di Sheffield (in arrivo in Italia fra pochissimo). Il gruppo è protagonista del numero di luglio/agosto di Billboard Italia, uno speciale monografico dedicato ai festival estivi
Non ci sono dubbi: gli Arctic Monkeys sono la rock band più elegante del pianeta. Hanno anche saputo aggirare – sul palco del lunghissimo tour in corso – i pericolosi dossi che il loro settimo album, The Car, avrebbe posto con quel mix di canzoni quasi da spy story, i suoi elaborati arrangiamenti di archi dal taglio cinematografico e quelle ambientazioni sexy da boudoir riservatissimi. Un album peraltro del riscatto, dopo l’interlocutorio Tranquility Base Hotel & Casino che aveva lasciato perplessi molti fan.
Proprio loro sono protagonisti del numero di luglio/agosto 2023 di Billboard Italia, consultabile da oggi in versione digitale (previo abbonamento) e disponibile dal 29 giugno in edicola nelle principali città italiane oppure…
Il numero è dedicato a una delle attività più amate nel periodo estivo dagli appassionati di musica: i festival. Insieme a promoter e professionisti del settore, facciamo una panoramica sul fenomeno dei festival musicali estivi, che sono diventati un business fondamentale nella filiera dell’industria. Arricchiscono lo speciale le interviste ai Black Eyed Peas (anche loro in tour in Italia a luglio), a Miles Kane (storico collaboratore degli Arctic Monkeys nonché sodale di Alex Turner dei Last Shadow Puppets) e molto altro ancora.
La copertina del numero di luglio/agosto di Billboard Italia
L’intervista a Matt Helders degli Arctic Monkeys
Grazie a una rinnovata intesa tra il consumato crooner Alex Turner, il feroce ma a volte sensibile chitarrista Jamie Cook, il levigato bassista Nick O’Malley e l’eccezionale e muscolare batterista Matt Helders, gli Arctic Monkeys stanno ricevendo encomi universali per questo tour mondiale, che propone effetti scenografici di grande stile, senza coriandoli o lingue di fuoco ma con un sapiente uso di luci e ombre.
A volte sembra il set perfetto per la comparsa improvvisa di fantasmi del passato ma sempre presenti in un certo immaginario rock, come Elvis, Jim Morrison o Scott Walker. Presto vedremo gli Arctic Monkeys qui in Italia, agli I-Days di Milano e al Rock in Roma (15 e 16 luglio), fra gli appuntamenti principe di un’estate ricchissima di musica dal vivo che vede, con la band di Alex e compagni, un rifiorire del rock nel contesto mondiale.
Matt Helders da sempre è un gentleman e ci ha concesso un’intervista esclusiva durante le date tedesche. Vi accorgerete che il buon metronomo del gruppo si scalda sempre di più nelle risposte, passo dopo passo. Ecco un estratto dell’intervista.
Per prima cosa vorrei sapere come funziona il vostro nuovo album dal vivo. È passato un anno dalla sua uscita: c’è qualche canzone che vi ha sorpreso suonandola sul palco?
La cosa divertente è che ancora adesso siamo in un processo di trasformazione con le nuove canzoni. Siamo costantemente alla ricerca di alcuni accorgimenti per farle suonare meglio dal vivo, come Perfect Sense.
Penso che per la band sia una sfida provare a far suonare bene dal vivo alcune composizioni di The Car perché c’è stato così tanto impegno in studio che volevamo essere in grado di ottenere lo stesso risultato anche dal vivo. Anche There’d Better Be a Mirrorball fa parte di quella sfida, ma non solo…
Sono tante le influenze musicali che si ritrovano attraverso la vostra discografia: dal rock urlato nei garage di Sheffield a un album come The Car, che include anche degli archi arrangiati in maniera sublime.
Non ci sono a priori degli stili e delle influenze. Non siamo lì a pensare: “Un po’ di questo o di quello”… Di sicuro volevamo una sezione archi in The Car. Alex si è certamente fatto ispirare da alcune colonne sonore del passato, ci intriga l’idea di innestare quelle lontane suggestioni in una canzone composta oggi.
Fino a quando non abbiamo finito un album non sappiamo come suonerà davvero: sembra una banalità ma è così. Finché non abbiamo l’intero corpo del lavoro, non sappiamo necessariamente quante siano le influenze e da dove arrivino.
Senza alcun dubbio oggi state andando verso un certo sound anni ’70. Anche l’album di debutto di James Ellis Ford si dirige verso quei lidi. Il suo notevolissimo The Hum pesca a piene mani da quel decennio: ci ho sentito addirittura la scuola di Canterbury!
James è a tutti gli effetti uno della band. È stato così coinvolto nei nostri processi da non poter immaginare anche The Car senza di lui (il primo brano prodotto da Ford per la band fu il B-side di I Bet You Look Good On the Dancefloor, ovvero Bigger Boys and Stolen Sweethearts, 2005, ndr). Non solo lascia sempre un tocco del suo stile ma sa anche adattarsi a qualsiasi situazione.
Nel passato mi sono sempre chiesto come sarebbe suonato il suo primo album da solista, e in effetti The Hum ha un sound incredibile. Come anche è straordinario il suo lavoro per Memento Mori dei Depeche Mode.
Sarete in tour per molto tempo: qual è il segreto per essere sempre entusiasti e felici di suonare dal vivo?
Non so, siamo senza dubbio ancora molto eccitati quando possiamo suonare. Penso che anche quando sei così stanco e quasi esausto – come oggi che parlo con te dopo un live – alla fine succede qualcosa di pazzesco quando sali sul palco, suoni le canzoni e vedi che la gente si diverte.
Siamo tutti amici da quando eravamo bambini, quindi è come se il nostro rapporto andasse oltre la band. È più un ingrediente speciale che un segreto. Condividiamo comunque quest’esperienza ogni giorno e può anche essere che non sempre sei al 100%, ma questo è anche il miglior lavoro del mondo, quindi non è difficile entrare nell’umore giusto per farlo.
Dev’essere anche eccitante arrivare per la terza volta come headliner a un festival iconico come Glastonbury. Mi dici che significa questo per voi come artisti?
La prima volta che abbiamo suonato lì con la band fu anche la mia prima volta a Glasto! (Ride, ndr) Era un qualcosa che sognavo da sempre. Sai, sin da bambino sapevo dell’importanza di questo festival. Quando sei un ragazzino in Inghilterra vedi in TV ogni anno tutte le tue band preferite su quel palco e, se vuoi diventare un musicista, quel rito diventa un’ossessione e un obbiettivo da raggiungere prima o poi.
Era una chimera per tutti noi della band anche esserci come spettatori, perché Glastonbury è lontano da Sheffield. Andavamo a diversi festival ma erano un po’ più facili da raggiungere!
E quando ci sei stato la prima volta come l’hai vissuta?
A quel punto siamo rimasti a Glasto tutto il fine settimana! Abbiamo cercato di vivere l’esperienza in maniera totalizzante, proprio come i veri fan. Un bellissimo weekend estivo e festivaliero! Però a dire il vero, se penso al nostro concerto, non fu propriamente indimenticabile… C’era molta pressione su di noi nel 2007.
Devo dire che anche la seconda volta – dieci anni fa – non fu propriamente una data felice. Fu una delle prime date del tour, non eravamo ancora perfettamente rodati e suonammo solo una delle nuove canzoni. Ma quest’anno arriveremo a Glastonbury con le premesse tutte giuste: il tour sta andando veramente bene, quindi saremo davvero eccitatissimi!