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Il primo San Siro di Blanco è stato “fottutamente stupendo”

Vent’anni compiuti da qualche mese, Riccardo Fabbriconi è stato il più giovane artista italiano ad esibirsi in uno stadio ma l’ha fatto con la professionalità dei veri grandi e l’attitudine di chi, ci auguriamo, possa rimanere nell’animo ragazzo per sempre

Autore Greta Valicenti
  • Il21 Luglio 2023
Il primo San Siro di Blanco è stato “fottutamente stupendo”

Blanco a San Siro, 20 luglio 2023, foto di Luca Marenda

Uno stadio intero che trema, un oceano di persone che saltano e cantano all’unisono e che nemmeno la pioggia – che da ostacolo è diventata il perfetto corollario scenico – ha fermato, una scenografia maestosa e dettagliatissima come poche se ne vedono in Italia e l’incredulità di un ragazzo – che dal nulla si è preso tutto (ma per chi ha la fame viscerale di quello che è a tutti gli effetti l’artista rivelazione degli ultimi dieci anni, forse tutto non è ancora abbastanza) – per quanto i sogni, a volte, possano spingersi ben oltre le aspettative. Anche – e soprattutto – a 20 anni. Il primo San Siro di Blanco è stato tutto questo è anche di più.

Diciamocelo: fare uno stadio poco più che adolescente, con un repertorio non propriamente decennale e senza un tour nei palazzetti a fare da cuscinetto tra i club e il mostro finale, è un rischio non indifferente e per cui serve una notevole dose di coraggio, irriverenza e un briciolo di follia (tre doti che sicuramente non mancano a Riccardo Fabbriconi). La domanda che serpeggiava tra i più era, ovviamente, se Blanco fosse effettivamente pronto ad assumerselo e uscirne vincente.

La risposta è stata sotto gli occhi dei 55mila presenti a San Siro (e dei 40mila accorsi il 4 luglio allo Stadio Olimpico). Perché sì, Blanco sarà anche il più giovane artista italiano ad esibirsi in uno stadio, ma l’ha fatto con la professionalità dei veri grandi e l’attitudine e lo spirito di chi, ci auguriamo, possa rimanere – almeno nell’animo – ragazzo per sempre.

Tutte le anime di Blanco

Sul palco – enorme, ampliato con una pedana a rombo al centro, due passerelle laterali e una scala centrale che ospita l’orchestra di 25 elementi, la band composta dal fedelissimo Michelangelo, Bdog alla batteria ed Emanuele Nazzaro al basso, nonché un coro di 50 voci (un plauso per l’allestimento va a Fabio Novembre, che insieme a Galattico ha ricreato attraverso i visual una cattedrale gotica in cui è l’arte a farla da padrone) – si sono incontrate infatti tutte le anime di Blanco, tutte le sue luci e le sue ombre.

C’è quella punk e incosciente di un giovane che vuole spaccare il mondo e vuole farlo qui e ora. Quella selvaggia e istintiva di un innamorato pazzo che non conosce mezze misure perché a 20 anni l’amore è tutta passione vissuta a mille, senza compromessi. Ed è qui che Blanco dà tutto il suo meglio (e se stesso). Corre da una parte all’altra del palco, si dimena, si ingabbia per poi deflagrare, addirittura si lancia in mezzo al suo pubblico (letteralmente) per sentire sulla pelle tutto il calore che quei corpi emanano. Prende a calci le sue stesse parole e infierisce sui frantumi, come per liberarsi da chissà quale rabbia esasperata gli ribolle nel sangue e che l’ha fatto diventare l’icona di una generazione incazzata e fottuta, sì, ma che in fondo crede ancora nei sogni.

Blanco a San Siro, foto di Luca Marenda

«Mi avevano detto che bisogna crederci, ma io una cosa così non me la sarei mai immaginata»

C’è poi il Blanco angelico, quasi indifeso, la cui purezza non è stata scalfita nemmeno dal successo da capogiro, che confida quanto senta la mancanza della sua mamma che non è potuta esserci ma che si sente comunque amato e accolto, che spera che nessuno dei presenti abbia qualcuno a cui dedicare Blu celeste, a cui si inumidiscono gli occhi alla vista delle luci che illuminano gli anelli e a cui tremano le mani e la voce.

E ancora quello incredulo rispetto a che forma e a che dimensioni possa prendere un sogno perché «mi avevano detto che bisogna crederci, ma io una cosa così non me la sarei mai immaginata». Il tutto si traduce in fugaci sguardi di complicità con Michelangelo e boccacce che Blanco non si cura di nascondere perché è questa la sua vera essenza da proteggere ad ogni costo: la capacità di non aver mai perso se stesso. Nonostante tutto.

Blanco e Michelangelo, foto di Luca Marenda

Lo sanno bene anche gli ospiti che Riccardo ha voluto con sé sul palco – Mace, Madame, Lazza, Marracash e l’immancabile Mahmood – che, con parole diverse, dicono tutti la stessa cosa: Blanco è un’anima rara e speciale, una di quelle forze della natura che non si vedono tutti i giorni. Una forza che non conosce limiti e barriere, in grado di travolgere chiunque gli si pari davanti senza via di scampo. Dunque, per tornare alla domanda di partenza, sì: Blanco ha rischiato e ne è uscito vincitore. Forse un po’ imperfetto, forse un po’ decadente e imprevedibile, ma pur sempre vincitore. E il suo primo San Siro è stato davvero “fottutamene stupendo”.

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