La bellezza delle notti milanesi è nella loro varietà e complessità
Per la serie “Crying at the Discoteque” abbiamo incontrato tre professionisti che lavorano nel clubbing milanese: Sergio Tavelli (Plastique), Daniele Orlando (Fabrique) e Tommaso Dapri (Il Tempio del Futuro Perduto)
Seconda e ultima tappa milanese sul fenomeno della club mortality. Milano è la metropoli che da sempre ha saputo essere protagonista anche durante le notti: eclettica, innovativa, trasgressiva, ma anche inclusiva. E soprattutto ha dato libertà di espressione a tutte le avanguardie del pensiero legato all’intrattenimento notturno. Non pensate che in questo contesto la parola “avanguardia” sia sinonimo di “stranezza”. Come diceva lo stilista Elio Fiourucci (al quale la Triennale dedicherà presto una mostra), “l’avanguardia è la normalità con un pensiero libero”. Senza contare che il successo del clubbing a Milano è stato alimentato nei decenni da quel sempre più ampio gruppo sociale dei creativi, che ha certamente saputo influire sui comportamenti della società anche in questo preciso contesto.
Il clubbing a Milano: una storia che risale agli ‘70
La lunga storia del clubbing a Milano risale ai tempi del massimo splendore della disco music. Negli anni ’80 poi sono nati luoghi ancora iconici come il Plastic e poi l’Hollywood o l’oramai defunto Shocking Club. Notti, in quegli anni a Milano, dove si divertiva senza freni la gioventù rampante della medio-alta borghesia ma trovavano una dimensione notturna anche il popolo del rock, al Rolling Stone o all’Odissea 2001, e gli antagonisti al mainstream culturale nei sempre più numerosi centri sociali.
Poi sono arrivati gli anni ’90, quando la città ha città ha vissuto uno dei suoi periodi più intensi parlando di vita notturna. In quel periodo Milano divenne davvero una calamita di tutte quelle influenze culturali, artistiche e musicali più importanti a livello internazionale. In città nacquero e fiorirono nuovi movimenti giovanili underground, nuovi club, nuovi centri sociali che contribuiscono a cambiare radicalmente la scena musicale, non solo del nostro Paese, raccontato di recente dal documentario sul clubbing intitolato Milano Club 1995-2001 di Andrea Cavallari, ma anche dai ricordi di un DJ e organizzatore di serate come Lele Sacchi, che compare nel numero di gennaio/febbraio di Billboard Italia, dedicato proprio a Milano.
Un ultimo viaggio a 360 gradi
In questa ultima tappa milanese abbiamo voluto cercare di offrire una panoramica il più possibile completa, prendendo come punti di riferimento tre luoghi così differenti tra loro. Sperando di offrivi così una panoramica il più imparziale possibile.
Doveroso scandagliare un luogo storico e specialissimo del clubbing a Milano come il Plastic, tramite le parole di Sergio Tavelli che dagli anni ‘90 ha unito indissolubilmente il suo nome alla storia di questo club, già evocato nella scorsa puntata da Francesco Vezzoli – uno dei più apprezzati nel mondo dell’arte contemporanea – che aveva definito il Plastic la metafora dell’ambiguità italiana. Poi sentirete i pensieri di Daniele Orlando, fondatore e direttore artistico del Fabrique (ma anche del Milano Summer Festival) e infine di Tommaso Dapri, fondatore del Tempio del Futuro Perduto, che è a tutti gli effetti il primo centro socio-culturale indipendente e riconosciuto nel nostro Paese.
Plastic – Sergio Tavelli
Al centro di tutto c’è una certa atmosfera, un mood particolare che abbiamo costruito nei decenni. Quello che trovi è frutto di un lungo lavoro artistico. Se noi non puntiamo sui nomi dei DJ, non enfatizziamo il concetto del super guest. Se arrivi al Plastic ancora oggi, trovi quell’ambiente che ho trovato io quando sono arrivato a Milano nei primi anni ‘90 e che probabilmente trovava chi ci andava negli anni’80. Sanno di trovare una famiglia da noi.
Penso al fatto che nella vostra inchiesta avete nominato i luoghi pubblici, addirittura le piazze come posti dove i giovani preferiscono ritrovarsi di sera. Ecco, il Plastic è una sorta di piazza. La cosa fondamentale è ritrovarsi sentendosi parte di un gruppo. Questo era il principio fondante dei primi club.
Non vorrei apparire come un presuntuoso, ma ti assicuro che il Plastic è davvero un luogo magico. Sono esattamente trent’anni che lavoro lì e ancora oggi ci sono delle sere in cui sento un’energia incredibile, in cui quando suono è il pubblico che mi dà l’energia.
Cosa pensi del fenomeno della club mortality, molto diffusa in Italia?
A Milano molti locali hanno subito una chiusura obbligata, spesso per ragioni economiche. Se ci pensi, non noti tanti club nella zona centrale della città: i locali nascono sempre più in periferia. E tuttavia, appena cominci, rompi le scatole a qualcuno e quindi ti fanno chiudere il club per altre ragioni.
Quando io arrivai a Milano appena diciottenne (era il 1991) uscivo tutte le sere, studiavo, avevo il mio lavoretto la sera al ristorante e che usavo per le mie spese. Si usciva dal lunedì alla domenica sera. Oggi tutto questo difficilmente un ragazzo con un piccolo stipendio se lo può permettere.
Quando abbiamo parlato con alcuni protagonisti del clubbing napoletano è venuto fuori l’allarmante vezzo dei locali che tendono a puntare sulla prenotazione dei tavoli, manco fossero dei ristoranti!
Sì, alcune discoteche stanno diventando sempre più luoghi dove è quasi d’obbligo la prenotazione di un tavolo, mentre la pista da ballo diventa sempre più piccola. Una delle più belle descrizioni del Plastic la diede in un’intervista Lola Schnabel (figlia del pittore Julian Schnabel, ndr): “Il Plastic è l’unico club dove mi piace andare, perché non è solo un posto dove sedersi per bere una bottiglia di champagne”.
Qual è stata una notte indimenticabile al Plastic?
Quella che non ricordo… È la pura verità, perché quando ti ricordi una serata vuol dire che non ti sei divertito tanto. Davvero è più bello quando ti svegli il giorno dopo e ti chiedi cosa sia successo qualche ora prima.
Qual è una canzone che porti sempre con te?
Premetto che ho una chiavetta con 14mila canzoni, ma quando chiudo la notte al Plastic metto sempre Baby, I Love You dei Ramones.
Fabrique – Daniele Orlando
Il nostro locale è un grande contenitore modulabile dove si sente molto bene la musica. E l’artista, che ci siano mille oppure tremila persone, riesce a sentire il calore del pubblico. Non da ultimo, qui la gente respira: c’è un bellissimo impianto di areazione, perfetto per l’inverno e l’estate.
Questa nostra capacità di adattamento aiuta noi ma anche gli altri promoter a realizzare una serie di eventi molto eterogenei. La programmazione interna viene qui sviluppata da me insieme a Riccardo Lai, che da anni lavora alla programmazione dell’Amnesia, altro tempio del clubbing a Milano che per fortuna funziona ancora molto bene. Pensa che io e Riccardo lavoriamo assieme praticamente da dieci anni: festeggeremo a settembre.
Il Fabrique è un locale polifunzionale dove i live funzionano benissimo, con tanti sold out. Ma quando si trasforma in club che succede?
Quando lavoravo ai Magazzini Generali mi potevo permettere una programmazione meno mainstream, diciamo così. Qui non possiamo rischiare tanto e oggi fare almeno mille persone a serata è una bella scommessa.
Per esempio, parlando di scena techno, noi abbiamo il vantaggio che alcuni artisti più di culto possono suonare regolarmente all’Amnesia, poi quelli che fanno il botto, o siamo sicuri che radunano migliaia di persone, li facciamo suonare qui, grazie a questa preziosa sinergia con Riccardo Lai.
Invece, parlando della nostra programmazione, del Fabrique in modalità discoteca/club sto, già pensando a nuove soluzioni per la prossima stagione. Vogliamo avvicinarci alla mentalità dei club più europei ma con un’impronta nostra, come l’ideazione di serate italodisco, un genere che sta prepotentemente tornando di moda e che sa attrarre una fascia di pubblico giovane ma anche adulto.
Questo discorso va anche incontro a una nuova esigenza. In città vivono molti ragazzi stranieri, tra scuole di moda e di design. Sappiamo che hanno dei gusti più “settati” su quello che succede a Berlino, Parigi o Londra. Per esempio abbiamo creato un contest all’interno di atenei come lo IED o la NABA dove far venire i ragazzi a fotografare gli artisti durante i concerti.
Ovviamente abbiamo anche dei format più commerciali che funzionano benissimo. Giusto degli esempi: le serate dedicate ai successi degli anni ‘90 o il format di musica Latin/reggaeton Mamacita di Max Brigante. Ma sto guardando con sempre più interesse al mondo K-Pop e vorrei anche ricordare format semplici ma vincenti come Teenage Dream e Random.
Trovi che comunque Milano sia ancora città accogliente dal punto di vista della musica in generale oppure ci sono delle cose che si potrebbero ancora migliorare?
Milano è la capitale della musica in Italia ma ci sono ancora tante cose da fare. Mi rendo conto che non ci sono ancora tutti quegli spazi necessari, soprattutto in estate. Credo che bisognerà fare tanto di più, anche perché il panorama artistico nazionale è sempre più interessante, senza contare il numero sempre più alto di artisti internazionali che arrivano qui da noi.
Il Tempio del Futuro Perduto – Tommaso Daprì
Porto avanti un corso di storia e filosofia del clubbing, della techno, tutti i giovedì per tre ore, e ho una quarantina di studenti molto trasversali che vanno dai 17enni in su, perché ai corsi possono partecipare anche i minorenni. Ospitiamo un’associazione che propone musica lirica e classica, abbiamo tenuto corsi di musica tradizionale indiana, cinese e così via.
Con queste premesse stai pensando a una maniera inedita per affrontare la club mortality…
Se andiamo a scandagliare le ragioni di questa crisi fattuale, oltre al costo proibitivo degli affitti degli spazi in una metropoli come la nostra, oltre a una certa ottusità dei promoter, per me una causa è quella dei social. Offrono una visione distorta del clubbing, perché con i social viene offerta ai giovani una sorta di soddisfazione immaginaria nel vivere una scena di clubbing. Poi quando gli capita realmente di andare in un club, si sentono spesso a disagio. Perché la realtà di una serata è un insieme di tante sensazioni, persino la puzza, il sudore, il trambusto, il ballare gomito a gomito con le altre persone. Tutte queste cose nei social sono effetti anestetizzati e virtuali.
Comunque il problema dei costi è importante.
Certo. Viviamo in uno stato di continua precarietà e continua difficoltà. Però ci sono esempi virtuosi in quei paesi europei in cui lo stato interviene con dei finanziamenti. Lì i club storici sono visti come luoghi di importanza collettiva, ed è per questa ragione che sono finanziati. A Milano il clubbing ci permette di fare grandi numeri tutti i weekend anche senza prendere DJ superstar. Ma noi abbiamo investito tutto quello che avevamo sul dare dei servizi, offrire dei corsi, sullo stare insieme alle persone anche oltre la notte, offrendo delle esperienze multidisciplinari. E i frutti si stanno vedendo: oggi il Tempio ha 40mila soci.
Ci acconti brevemente chi sei, come sei arrivato a dare vita al Tempio?
Mi occupo di musica elettronica da una vita. Ho lavorato organizzando rave, poi per i centri sociali come il Cantiere e il Leoncavallo. Ho puntato molto sulla scena techno sin dal 2003 circa, lavorando con tutti a Milano, e ho portato tanti DJ, prima al Tunnel poi ai Magazzini Generali, indebitandomi fino ai capelli, ho inventato il concept di Social Music City. Poi ho anche fatto un po’ di date in giro per il mondo come DJ.
Dentro questa bella cornice mi è anche capitato di scontrarmi anche fisicamente con certi limiti del clubbing a Milano. Ho avuto a che fare con atteggiamenti da mafiosi e veniva spesso esercitata una certa prepotenza, in maniera sistematica. È proprio per questo tipo di percorso che poi ho deciso di mettere in piedi Il Tempio del Futuro Perduto. Sentivo la necessità di un posto pulito, libero da certi meccanismi di malaffare.
Vorrei chiudere questa inchiesta affrontando un tema delicatissimo fino ad adesso lasciato marginale come l’uso delle droghe. Ci metterei dentro senz’altro anche il tema dell’abuso dei superalcolici.
Bravo, ricordiamolo che è una piaga anche quella del bere smodatamente. Noi al Tempio siamo tra i pochissimi a Milano – e forse gli unici da privati – che paghiamo un’ambulanza per tutti gli eventi notturni e i paramedici stanno fissi. Se vieni alle nostre serate la vedi lì, piazzata nel giardino. Teniamo anche le statistiche di quelli che sono i problemi sanitari durante le serate.
Inoltre abbiamo un team che gira durante tutte le serate e assiste e parla con il pubblico. Perché ci accorgiamo anche che i giovani non sanno gestire il rapporto con le sostanze stupefacenti, di qualsiasi tipo esse siano, senza contare che adesso sono in circolazione droghe terribili e pericolosissime.