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Crying at the Discoteque

Il clubbing a Milano, tra passato e presente

La nuova puntata dell’inchiesta Crying at the Discoteque, con interventi di Tiberio Carcano (Rollover / Apollo Milano), Francesco Vezzoli e Tommaso Sacchi

Autore Tommaso Toma
  • Il26 Gennaio 2024
Il clubbing a Milano, tra passato e presente

I Coma_Cose all'Apollo

Prosegue la nostra inchiesta su dove si balla oggi, cercando di comprendere al meglio anche la trasformazione dei gusti delle nuove generazioni. Dopo aver fatto tappa a Napoli, questa puntata di Crying at the Discoteque è sul clubbing a Milano. Quella che leggerete è la prima parte dedicata al capoluogo lombardo. Proseguirà con altre due voci importanti come quella di Sergio Tavelli, deus ex machina dello storico club Plastic, e poi con un ampio racconto di Lele Sacchi sui locali che hanno segnato la storia delle notti milanesi dagli anni ’90 ad oggi.

Iniziamo il nostro viaggio dentro la metropoli lombarda, che è stata e rimane un punto di riferimento del clubbing nazionale, anche grazie alla presenza di un numeroso pubblico straniero che vive e lavora a Milano. L’afflato internazionale questa città l’ha sempre posseduto. È nel suo DNA e, grazie all’importanza del settore della moda e del design, che sono un enorme catalizzatore di talenti e creativi sin dagli anni ’80, la vita notturna si è sempre alimentata di creature, situazioni, format assolutamente di tendenza con quello che accadeva contemporaneamente in altre capitali europee come Londra, Parigi e Berlino e naturalmente oltreoceano, nella Grande Mela.

gli interni dell'Apollo - Crying at the Discoteque - clubbing a Milano
Gli interni dell’Apollo

La vigorosa reattività di Milano

In apparenza Milano è una città che non sembra aver subito autentiche crisi del clubbing e della vita notturna. Alcune discoteche del passato non esistono più, altre si sono dovute spostare o ridimensionare. Ma, nonostante sia in atto questo processo di club mortality, Milano sembra rispondere sempre con una vigorosa reattività alle criticità che sono arrivate dall’esterno, come la pandemia, o internamente, come il progressivo cambiamento di abitudini delle nuove generazioni.

Ecco cosa pensa uno dei protagonisti delle notti milanesi come Tiberio Carcano, che non solo è un affermato DJ con il progetto Rollover DJ (in coppia con Rocco Fusco) ma anche un autentico imprenditore, con la gestione dell’Apollo (con Marcella di Chio), un bel locale in piena zona Navigli: «Non è solo la pandemia ad aver dato una rapida velocizzazione alla crisi dei locali notturni. In realtà non si erano fatti anche i conti con due enormi problemi. Il primo, quello economico, che sta da tempo affliggendo il settore che con la pandemia si sono acuiti. Il secondo, legato alle conseguenze della pandemia, che ha modificato le abitudini di una buona fetta del potenziale pubblico dei club».

Continua Carcano: «Infatti, riaperti i locali, qualcosa si è modificato nel flusso degli avventori. In tanti si sono abituati a non uscire più tanto spesso per ballare. Dopo quasi due anni di Netflix, chi li schioda dal divano? E poi attraverso i social le persone cercano anche nuove vie di ritrovo. Si organizzano incontri in luoghi alternativi, nelle piazze quando c’è bel tempo… Insomma, Instagram, TikTok, Netflix e Prime Video sono dei nostri autentici competitor».

Tiberio Carcano - Crying at the Discoteque - clubbing a Milano

I luoghi non convenzionali per il clubbing a Milano

La cosa interessante è che Tiberio, insieme alla crew di Rollover (marcellina, Rocco ed altri ) aveva iniziato questo percorso diversi anni fa: «Esatto», risponde Tiberio, «nel periodo 2014/2015 facevamo dei venerdì pazzeschi, feste da 4mila persone con personaggi di tutti i tipi, dai DJ ai musicisti che ormai sono super affermati, ma anche gente della moda e del design. Sceglievamo sempre location poco convenzionali come il Tombon de San Marc, all’Osteria dei Binari c’era Rollover Beethoven, poi ci spostavamo alla Canottieri lungo il Naviglio Grande…».

E ancora: «Avevamo captato questa voglia delle persone di sperimentare, di uscire dai luoghi convenzionali per ballare. A volte cercavamo di essere così alternativi che non usavamo impianti luci ad effetto e sound system particolari, per richiamare un’idea di festa quasi improvvisata… Quando poi abbiamo deciso di aprire l’Apollo è cambiato tutto il modo di vedere le cose. Quindi abbiamo iniziato a seguire delle regole e, ovvio, le spese sono aumentate a dismisura, anche perché è sempre stata una nostra prassi fare una programmazione regolare con DJ e producer forti e di qualità».

Francesco Vezzoli: «Nei club si impara il valore dell’appartenenza a una comunità»

Non bisogna dimenticare – come avevamo già raccontato nella nostra prima puntata di Crying at the Discoteque – il valore non solo nella programmazione artistica di certi club ma anche il loro significato sociale e culturale. A tal proposito, illuminanti sono le parole di Francesco Vezzoli, che è uno dei più apprezzati nel mondo dell’arte contemporanea.

Il lavoro di Vezzoli può essere descritto come una serie di forti allegorie sulla cultura contemporanea con un sottotesto ricco di riferimenti elaborati attraverso installazioni video, fotografia, performance dal vivo, esperimenti mediatici, addirittura ricami a piccolo punto, sua passione.

«Amo ancora profondamente l’idea del club inteso come luogo di ritrovo di persone che sono accomunate dagli stessi gusti musicali ed estetici», ci racconta Vezzoli (trovate l’intervista integrale sul numero di gennaio/febbraio 2024 di Billboard Italia). «In questi locali non solo ho imparato il valore dell’appartenenza a una comunità, ma nello specifico dei club inglesi – che erano frequentati prevalentemente dalla working class – ho imparato che la bellezza di un rito non sta nella sua esclusività o nella quantità di denaro spesa per la partecipazione al rito medesimo».

Continua: «Insomma, la cultura anglosassone dei club era un rito basato su una selettività culturale, viceversa nei club francesi o nei club italiani è sempre stato il denaro la chiave d’accesso. Oggi purtroppo non esiste più un’autentica club culture a Parigi e a Londra, proprio perché questo turbo-capitalismo un po’ reazionario ha portato le persone a pensare che i locali notturni fossero luoghi dove poter arrampicarsi socialmente».

Abbiamo chiesto a Vezzoli se ci potesse portare un buon esempio di luogo della notte a Milano che rispecchiasse gli antichi valori del clubbing: «La città dovrebbe dare un finanziamento pubblico al Plastic come monumento nazionale, e farlo definitivamente entrare nel Pantheon delle grandi discoteche della storia. Il Plastic è per eccellenza la metafora dell’ambiguità italiana. Nella stessa sera puoi vedere le stesse persone ballare e cantare Maledetta Primavera di Loretta Goggi e una vecchia canzone dei Japan, o ancora Disperato Erotico Stomp di Lucio Dalla».

Francesco Vezzoli - Crying at the Discoteque - clubbing a Milano
Francesco Vezzoli

Il Comune di Milano e il clubbing

Lunga vita dunque al Plastic, che ha rischiato anche di chiudere ma si è poi trasferito dalla sua antica sede in Viale Umbria, nella più periferica zona Ripamonti. Ma a tanti locali non è andata così bene. Non hanno potuto risorgere e riprendere vita altrove, così la morìa di club in città non si è fermata.

Tommaso Sacchi, assessore alla Cultura del Comune di Milano, ha sottolineato in una nostra recente intervista (anch’essa presente sul nuovo numero del magazine): «Partiamo da una premessa. Non esistono musicista, cantante, band che non siano partiti da un club per fare musica. Dai club, dai locali che fanno musica dal vivo, parte tutto».

Continua Sacchi: «Non posso che esprimermi con dolore quando chiudono dei club che hanno fatto storia. Sto pensando al Capolinea o a La Casa 139. Ma è anche vero che sono nate comunque delle realtà nuove come Santeria o eventi di ampio respiro, ad esempio Linecheck, ideato da Dino Lupelli. Però da poco ho aperto un registro dei live club di Milano. Sto chiedendo ai gestori di far parte di questo censimento. Anche perché – pensando alla provocazione di Vezzoli – l’amministrazione deve prima censire gli spazi per poi attivare delle collaborazioni. Mi sembra il primo passo concreto per un autentico aiuto futuro».

Come rimanere a galla

Chiudiamo questa puntata di Crying at the Discoteque parlando di futuro e possibilmente offrendo uno sguardo più positivo, in una cornice sempre più cupa. Torniamo a Tiberio Carcano e al suo locale, l’Apollo: «Siamo riusciti col tempo, piano piano, a creare uno zoccolo duro di collaboratori, amici fidati che danno input, una solida rete di fidati PR. In pratica attorno al club gravitano tante persone con le quali interagiamo di continuo. Anche sul lato social, e anche in questo caso c’è bisogno di creare una crew di persone che conoscano bene il club. Poi c’è un’altra parte importante a livello business e organizzativo che riguarda gli eventi privati e per aziende».

E ancora: «Tutto questo meccanismo permette a noi, come ad altre realtà simili alla nostra, di “stare a galla”. Ovviamente una maniera molto più dispendiosa rispetto a prima. Nel nostro club non si viene solo per ballare. C’è un bellissimo bar e il ristorante. Abbiamo fatto stand up comedy e facciamo concerti di spessore come nel caso anche dei giovedì con la serata organizzata assieme a Sergio Carnevale (storico batterista dei Bluvertigo, ndr). Il locale vive sì di musica ma anche di altro. Quindi ora per riuscire a recuperare il pubblico che sta subendo questa repulsione dalle discoteche, dai club, si deve ragionare in maniera diversa e più complessa».

Conclude Carcano: «Questa è l’unica alternativa, pensando alle grandi città come Milano, per poter fare qualcosa che può attivare il ventenne ma anche un cinquantenne. Bisogna pensare che dentro un luogo possano accadere più cose».

Nel prossimo appuntamento di Crying at the Discoteque indugeremo ancora sul clubbing a Milano. Sentirete altre voci, come quella di Sergio Tavelli del già citato Plastic, di Lele Sacchi, dell’archistar Stefano Boeri e altri protagonisti.

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