Festivalbar con la cassa dritta: alle radici dei tormentoni italiani
Ciò che colpisce nei testi e nelle atmosfere delle canzoni che impazzano nell’estate 2023 è il riferimento costante agli anni ’80 e ’90
Come ogni estate, ma con un bisogno di tregua ancora più forte del solito, uno sciame di tormentoni ci vola intorno, raccontando di evasione, di leggerezza e di spazi lontani dalla solita routine.
I tormentoni dell’estate 2023
Tutta la verità sulle canzoni dell’estate l’hanno già raccontata Colapesce e Dimartino nel loro autoironico cortometraggio diretto da Zavvo Nicolosi e Giovanni Tomaselli. Però in questo impegnativo agosto 2023 gli ingredienti della ricetta del perfetto tormentone estivo sembrano aumentati nei dosaggi. Evidentemente servono antidoti allo stress particolarmente efficaci.
La musica, cantano Elodie e Mengoni, “corre forte sopra le paure, il panico / per mandare tutto al diavolo / senza nessun perché”, oppure cammina in ciabatte e balla Girls Just Wanna Have Fun in mash-up con Be My Baby sul red carpet di una Disco Paradise per sfuggire al panico per il futuro, mentre “l’ansia fa su e giù tipo yo-yo” e il miliardario di turno “c’ha la barca ma anche quattro bypass”. E allora con Emma e Tony Effe si va in Taxi sulla Luna o con Angelina Mango si corre “via come una macchina sull’autostrada del sole”. Tanto, mal che vada, ci pensiamo domani.
Il riferimento agli anni ’80 e ‘90
Un’altra cosa che colpisce nei testi e nelle atmosfere dei tormentoni dell’estate 2023 è il riferimento costante agli anni ’80 e ’90. Si va dai Righeira a Cindy Lauper, dalla Italodisco dei The Kolors a Tony Effe che “rappa la techno e le paste nei club” ed è “toxic” come Britney Spears, e poi “l’autotune di Cher rimane in testa” a Marco Mengoni.
Succede anche che una supernova come VETRI NERI del dream team AVA / ANNA / Capo Plaza citi indirettamente gli anni ’90 di Saxo di Laurent Wolf attraverso il sample di Mr. Saxobeat di Alexandra Stan, mentre Fragole, la lussureggiante sexy fantasia ortofrutticola di Achille Lauro e Rose Villain, flirta con Sunshine Reggae dei Laid Back. Il tutto pronto all’uso per un ballo di gruppo in piattaforma.
Insomma, tutte le strade dei tormentoni portano al Festivalbar più ballabile e disimpegnato, ma anche consapevole del fatto che la realtà fuori dal sogno esiste ancora e forse neanche le canzoni possono cambiarla davvero. Abbiamo scelto per voi alcune iconiche performance danzerecce, tratte dal decennio d’oro della Kermesse. Proprio quello delle suggestioni retrò lanciate in orbita dalla Pazza Musica del 2023.
I tormentoni classici del Festivalbar
1979
Partiamo dalla fine del decennio precedente. Nel cast del Festivalbar ci sono produzioni italiane di altissimo livello che diventano tormentoni, come il reggae cosmopolita di Loredana Berté E la Luna Bussò o la new wave di Oh Oh Oh di Faust’O, dirette rispettivamente dai due storici collaboratori di Battisti Mario Lavezzi e Alberto Radius.
Loredana usciva per la CGD, mentre Faust’O per la costola più arty e ricercata dell’etichetta, la Ascolto, fortemente voluta da Caterina Caselli per dare spazio a progetti meno mainstream.
Un’altra performance in netto anticipo sui tempi era quella della top model americana Ann Steel, che si presentava sul palco vestita da astronauta sexy e cantava My Time. Il brano era una fantasia post-moderna su un mondo di acrilico e scaffali, che citava Einstein e la Tour Eiffel. Mente e produttore del progetto era in realtà il musicista d’avanguardia Roberto Cacciapaglia, che in questo caso declinava la propria ricerca in un synth pop memore dei sequencer di Giorgio Moroder.
A fare man bassa c’era un grande successo italo-dance, The Hootchie Cootchie, fra le ultime pubblicazioni dei F.lli La Bionda come D.D. Sound, la sigla con cui il gruppo licenziava le produzioni più tipicamente dance e destinate ad un mercato internazionale.
1980
È l’edizione vinta a pari merito da Miguel Bosé e dalla Rettore allusiva di Kobra, ma che vide protagonista anche l’esibizione dei Krisma, gli indimenticabili Maurizio Arceri e Cristina Moser, che in questa occasione lasciavano che il loro synth pop glaciale e post punk flirtasse con le esigenze del tormentone estivo ritmato e memorizzabile.
Lo era Many Kisses, un sogno erotico ambientato a Tirana, elettronico e sexy, fatto di sintetizzatori e sequencer. Diventerà un classico intramontabile nei DJ set di mezzo mondo, da Berlino a New York, passando per i locali dell’East End londinese.
Oltre a loro, a fare ballare il pubblico dell’Arena di Verona fu la coloratissima esibizione della Peter Jacques Band. Il progetto nasceva da una collaborazione fra il producer francese Jacques Fred Petrus e Mauro Malavasi, uno dei nomi più importanti in assoluto della dance italiana. I due avevano fondato la Goody Music Productions e aperto uno studio di registrazione a Bologna.
La loro commistione fra disco music americana e suoni elettronici fa passi da gigante verso la italo-disco. Con i Macho i due furono autori di una cover di I’m a Man, primo vero successo internazionale di italo-dance.
1983
È l’anno di Vamos a la Playa. I Righeira, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non vinsero l’edizione, superati da classiconi come Bollicine di Vasco, o Amore Disperato di Nada. Però lasciarono un segno altrettanto indelebile.
Il quarantennale del pezzo è stato festeggiato non solo dalla vincente intuizione dei The Kolors ma anche dal successo editoriale di Oh, oh, oh, oh, oh – I Righeira, la playa e l’estate 1983, recentemente pubblicato da Nottetempo, che in circa trecento pagine racconta “l’universo Vamos a la playa”.
Il respiro apocalittico che si respira nel testo, non lontano da un altro dei grandi tormentoni di quell’anno, anch’esso ovviamente presente al Festivalbar, la celeberrima Tropicana del Gruppo Italiano, curiosamente richiama l’atmosfera da fine del mondo che sembra caratterizzare questi nostri giorni d’estate.
Accanto all’exploit dei fratelli Righeira (coadiuvati qui da Carmelo La Bionda), figuravano altri successi italiani concepiti a suon di sequencer e drum machine. C’erano I.C. Love Affair, straordinario funky cibernetico dei new wavers Gaznevada, Avventurieri di Jo Squillo e il secondo singolo di Diana Est, Le Louvre, ancora, come il precedente, storico, singolo Tenax, prodotto da Enrico Ruggeri.
Poi erano presenti alcune delle maggiori squadre produttive italiane di italo-disco. Claudio Simonetti e Giancarlo Meo con Higher di Vivienne Vee, ormai in fase calante, Pierluigi Giombini e “Paul” Micioni, con I Want You di Gary Low e I Like Chopin di Gazebo.
Infine c’era Claudio Cecchetto, con il biondissimo cantate croato, naturalizzato italiano, Sandy Marton. Costui era destinato a spopolare l’anno successivo con uno dei tormentoni italo-disco per eccellenza, People from Ibiza.
Qui si facevano le prove generali. Sandy Marton cantava Ok Run, sintetica traccia pop-dance che circolava già da un po’, attribuita al primo moniker di Sandy “M. Basic” ed era stata utilizzata come jingle nella pubblicità della console Philips Videopac. L’Italo-disco era ormai realtà.
1984
Certo è che il cast del Festivalbar dell’84 fu ricchissimo di tormentoni più o meno indirettamente legati al genere. A parte Sandy Marton, di cui abbiamo già parlato, e quel misto di cantautorato, AOR e italo-disco che è Self Control di Raf (e poi di Laura Branigan), quell’anno il pubblico fu investito da una raffica di successi in cassa dritta.
La rassegna diventa itinerante. Oltre a Verona, lo show fa tappe a Jesolo, Chioggia, Marsala, Vieste, Siracusa, Fiera di Primiero. Persino a Malta.
Da un lido all’altro risuonano hit come Movin’ On dei Novecento e The Night del progetto parallelo Valerie Dore, Survivor di Mike Francis (primo esempio di italo-disco downtempo), Only You di Savage, la ultramelodica Maybe One Day dei Creatures, Shine On Dance dell’ex beatnick Carrara, Dreams di P.Lion.
Alcuni progetti erano più orientati a un suono funky dalle mille contaminazioni. È il caso di Change of the Heart dei Change, creatura del già citato Mauro Malavasi insieme a Peter Jacques, e di Queen of the Witches dei Kano, progetto dei produttori Luciano Ninzatti e Matteo Bonsanto, diretti dal producer e tastierista Stefano Pulga. Quest’ultimo in quegli anni iniziava anche una interessante carriera solista a proprio nome.
Come performance da segno dei tempi preferiamo però segnalarvi la conversione di Amanda Lear da disco queen e regina italo-disco con il singolo Assassino. Lo scrissero per lei da Cristiano Malgioglio e Alberto Radius. Aveva anche un videoclip diretto dal maestro del cinema Mauro Bolognini nell’anno in cui a vincere il Festivalbar fu Fotoromanza di Gianna Nannini.
1986
L’edizione ’85 fu appannaggio dei Righeira, ma anche di hit italo-disco minori come Tarzan Boy di Baltimora, Dancin’ Number di Ivan Cattaneo e Future Brain di Den Harrow. L’anno successivo invece vide diventare la italo-disco un vero e proprio imperativo di gusto.
A vincere l’edizione ’86 fu infatti la scoperta di Claudio Cecchetto Tracy Spencer. Capoverdiana naturalizzata inglese, trovò velocemente il successo in Italia e con altrettanta rapidità è uscita dal giro.
Poco importa. Il suo unico album Tracy è un piccolo compendio di luoghi comuni della italo-disco, perfettamente orchestrato da Cecchetto insieme a Pierpaolo Peroni e Marco Guarnerio. Contiene anche Love Is Like a Game, scritta per lei da Ivana Spagna, anzi Spagna. Quest’ultima vinse il premio rivelazione con il riempipista Easy Lady.
Due chicche dell’edizione da segnalare. La prima è l’esordio di una giovanissima Sabrina Salerno, che si affermerà definitivamente l’anno successivo con l’ultra-nota Boys. Sabrina qui canta, con tutta l’acerba eleganza delle sue performance dell’epoca, Sexy Girl. Un vero e proprio classico minore, prodotto con maestria dal solito Claudio Cecchetto.
Poi c’è un’altra meteora, questa volta molto più sconosciuta. Si tratta di Linda Di Franco. Era venuta alla ribalta col singolo TV Scene. Ma quell’anno promuoveva My Boss, che faceva parte dell’album Rise of the Heart, prodotto da Don Was e voluto da Francesco Carboncini, che chiamò grandi musicisti come il tastierista Luis Edgardo Resto e il chitarrista anglo-polacco Jakko Jakszyk, poi nei Level 42 e addirittura nei King Crimson.
Linda voleva fare la regista, per cui fu questa la sua unica incursione nella discografia. Una delle ultime notizie rintracciabili di lei la vede nel cast tecnico di Star Trek.
Il canto del cigno
Erano le ultime cartucce. La dance italiana, come dimostrano altri tormentoni nei Festivalbar degli anni successivi di artisti come Technotronic, Snapp o gli stessi Mecano, fu gradualmente riassorbita nella Eurodisco. La geografia delle produzioni si spostò altrove.
Lo stesso Festivalbar, inizialmente sopravvissuto a quel jukebox cui era così tenacemente e anche simbolicamente legato, andrà lentamente a perdere di centralità. Di quelle notti in riviera, di quelle “vacanze dell’83” che, come cantano i Baustelle, “sembravano sintetiche”, rimane però una delle fotografie più passibili di corsi e ricorsi della moda. Un’istantanea. Rigorosamente Polaroid.