I 15 migliori dischi internazionali del 2023
Da Young Fathers a Bad Bunny, passando per Jorja Smith, King Krule, slowthai e molti atri: ecco quali sono secondo la redazione di Billboard Italia i 15 dischi più belli usciti quest’anno nel mondo
Anche quest’anno sta giungendo al termine ed è arrivato il momento dei bilanci su questi dodici mesi ricchissimi di musica. Ecco allora quali sono i 15 migliori album internazionali usciti nel 2023 secondo la redazione di Billboard Italia.
Sofia Kourtesis, Madres
Dedicato alla madre e al celebre neurochirurgo che riuscì a salvarle la vita, un’elettronica da ballare ma anche un sound che è balsamo per l’anima. Un album sorprendente, sentiremo ancora parlare di lei nel futuro. (TT)
Travis Scott, Utopia
Amato e ascoltatissimo, Utopia di Travis Scott in realtà è stato anche decisamente criticato, soprattutto per i testi. Dopo 5 anni da ASTROWORLD valeva la pena aspettarlo con così tanta ansia? Forse qualcuno si aspettava che venissero affrontati anche argomenti con un peso specifico maggiore rispetto a soldi, donne e fama. Eppure è un disco con una densità e una cura del suono così maniacale che la risposta è sì. Prendete anche solo il primo pezzo HYAENA, con la scelta di inserire un sample di Proclamation degli Gentle Giant e di Maggot Brain dei Funkadelic, perfetti per un pezzo che porta la produzione di Travis Scott (insieme ai suoi collaboratori, certo) a un livello successivo e superiore per tutto il genere trap. E siamo solo al primo brano della track-list. Per cui la risposta è sì, ne valeva la pena. Anche se qualcuno lo ha bollato come lo Yeezus per Kanye West ma più freddo. (SD)
i/o, Peter Gabriel
Che garbo che occorre per pubblicare un capolavoro come questo (perché tale è il nuovo album di Peter Gabriel) senza fare chiasso, con discrezione, quasi in sordina. Senza l’ansia della release, degli annunci a sorpresa, del massimizzare stream e vendite nella settimana di uscita per poi scomparire dalle classifiche la settimana successiva. Al contrario: regalando al pubblico un nuovo pezzetto ogni mese, poi se i fan più affezionati vorranno regalarsi il disco in formato fisico, tanto meglio. In un mondo discografico che corre più che mai, il nuovo album di Peter Gabriel è un magnifico elogio della lentezza. (FD)
King Krule, Space Heavy
“Non potrei mai compromettere la mia arte per il mercato”: parola di King Krule, che infatti nel 2023 ha pubblicato un album distorto, spaziale, stralunato, fuori dal tempo, quasi sporco e disturbante, sia a livello sonoro che testuale. Insomma, un qualcosa che in radio non sentirete mai e che è per davvero fuori da ogni logica commerciale. Un disco che abbiamo potuto apprezzare live durante l’ultima edizione del C2C, con una performance nel vero senso della parola con cui Archy Marshall ci ha letteralmente trasportati in una dimensione ultraterrena, e che traduce perfettamente quel senso di disorientamento dei quasi-trent-anni e quell’affollamento di dubbi esistenziali che pesano come macigni. Perfetto per chi detesta la leggerezza e le canzoni orecchiabili. (GV)
boygenius, the record
Julien Baker, Phoebe Bridgers e Lucy Dacus ci hanno regalato un album sovversivo per i tempi che corrono. Ogni canzone ci ricorda quanto sia bello essere vulnerabili e avere qualcuno al proprio fianco con le tue stesse insicurezze. Anche solo per cantare Boys Don’t Cry in spiaggia fregandosene del coprifuoco. Succede poi, come avviene spesso con i dischi longevi, che i brani si leghino a qualcos’altro, come un libro. Nel mio caso Effimeri di Andrew O’Hagan, uscito nel 2022. Not Strong Enough Cool About It e Anti-Curse diventano allora una colonna sonora. Chitarre elettriche taglienti e pezzi folk rassicuranti, perché solo la musica può rendere un sentimento complesso come l’amicizia una cosa semplicissima. (SV)
Sufjan Stevens, Javelin
Di nuovo da solo (tranne un paio di chitarre di Bryce Dessner) e qui Sufjan esprime la quintessenza del suo inconfondibile stile, pieno di magici eccessi e di asciuttezze che lasciano l’ascoltatore in estasi. (TT)
NONAME, Sundial
NONAME, che però un nome ce l’ha ed è quello di Fatimah Nayeema Warner, ha una voce particolare e un flow bello serrato accompagnati da un adorabile groove jazzato e neo-soul. Lei però di adorabile non ha moltissimo (e per fortuna): è arrabbiata e agguerrita nei suoi testi dove parla di razzismo, capitalismo e sessismo, se ne frega di tutti e non risparmia frecciata nemmeno alle super star. In Namesake rappa: “I ain’t fuckin’ with the NFL or JAY-Z/ Propaganda for the military complex”. Beyoncé ti fischiano le orecchie? Rischiavamo seriamente di non ascoltare niente di suo dopo il suo EP di 5 anni fa. Perché aveva aperto a Los Angeles il Noname Book Club e la Radical Hood Library e aveva detto di non avere più molto tempo per la musica. Per fortuna lo ha trovato, e il suo è uno dei migliori album internazionali del 2023. (SD)
Olivia Rodrigo, Guts
La giovane promessa del nuovo pop americano ha fatto capire che non è una meteora ma una stella destinata a brillare a lungo. Il secondo album di Olivia Rodrigo (a fianco della quale troviamo ancora il fidato produttore Dan Nigro) è sfacciato e suadente, arrabbiato e pieno di voglia di vivere. In una parola: una conferma. Nel disco, Rodrigo sembra spingere sull’acceleratore in entrambe le direzioni del dualismo che anima la sua musica, portandolo alle estreme conseguenze: intense ballad da un lato, energia pop punk dall’altro. Risultando brillante e godibilissima in entrambi i casi. (FD)
Yves Tumor, Praise a Lord Who Chews but Which Does Not Consume; (Or Simply, Hot Between Worlds)
Un caleidoscopio di generi – dal synth pop abbacinante e glam all’elettronica labirintica, dal post punk martellante all’R&B ipnotico e suadente, passando per il trip-hop – che si intersecano tra di loro in una caotica, imprevedibile e misteriosa armonia grazie ad una personalità visionaria e criptica quale è Yves Tumor, che di sé non vuole far conoscere nulla se non la propria arte (e infatti chi l’ha detto che degli artisti dobbiamo sapere sempre tutto?), e al coinvolgimento alla produzione di Noah Goldstein – già al lavoro su dischi come Blonde, Watch The Thorne, My Beautiful Dark Twisted Fantasy, Yeezuz, Kids See Ghost e Motomami, solo per citarne alcuni – e Alan Moulder (My Bloody Valentine, Arctic Monkeys, Depeche Mode e The Smashing Pumpkins). Lode al Signore che quest’anno ci ha regalato questo album. (GV)
slowthai, UGLY
Pronti, via e già il suono poco accomodante di Yum ci conduce dritti nella mente di Tyron. Con UGLY, acronimo di U Gotta Love Yourself, slowthai ci rende partecipi di una seduta psicoanalitica. Il lettino lo posiziona Dan Carey, uno dei produttori più importanti della nuova ondata post-punk d’oltremanica (Fontaines D.C., Squid), costruendo un’atmosfera bifronte come il titolo del disco: le chitarre e i suoni elettrici talvolta sono abrasivi (Selfish, Wotz Funny), altre irresistibili (Sooner, Feel Good). Alla scrittura di alcuni brani, su tutti Never Again, collabora anche Ethan P. Flynn, mentre Grian Chatten fa un cameo nella titletrack. Un disco personale e universale, un crossover tra metrica altalenante e canto al limite, ricco di suggestioni, come l’ombra dei Pixies che fa la sua comparsa in Falling. (SV)
Bad Bunny, Nadie sabe lo que va a pasar mañana
Bad Bunny cerca citazioni eleganti (in Monaco c’è il sample di Charles Aznavour) e strappa un brandello di Vogue di Madonna in Vou 787. “Don Benito” ha voltato pagina e noi lo segiuamo. (TT)
Young Fathers, Heavy, Heavy
Heavy Heavy segna un ulteriore passo avanti per il trio scozzese che all’inizio era conosciuto soprattutto per essere pupillo dai Massive Attack dai quali hanno preso moltissimo. Dopo 5 anni (ma sono tornati tutti dopo 5 anni? Certo c’è stata una pandemia di mezzo…) il loro suono è ancora più compatto, stratificato, ricco. Con uno sguardo alle radici della black music, all’importanza della danza tribale, e un altro alle tendenze più tecnologiche della musica elettronica, il tutto sempre con un occhio al trip-hop già citato di Massive Attack e Tricky. E non si parla poi di testi privi di contenuto perché il trio è da sempre attivista, impegnato per i diritti umani, come dimostra anche l’ultimo Ep insieme a Massive Attack e Fontaines DC in nome del ceasefire immediato nella Striscia di Gaza. (SD)
Jorja Smith, falling or flying
Una lunghissima attesa per uno dei migliori album internazionali del 2023: erano passati ben cinque anni dall’album d’esordio che ci fece scoprire una delle voci più eleganti del nuovo soul made in UK. Quest’anno Jorja Smith è tornata con un album multiforme e cangiante, in cui la talentuosa artista – complice il tocco del duo di produzione DAMEDAME – si discosta dalle pose essenzialmente R&B dell’esordio in favore di un’apertura di stili e soluzioni ritmico-armoniche mai scontate. L’attesa è valsa la pena. (FD)
JPEGMAFIA & Danny Brown, SCARING THE HOES
Un disco il cui obiettivo è messo nero su bianco dal titolo (che traduciamo con un più elegante “spaventare le signorine”) per i testi irriverenti e i suoni disordinati, industriali, assordanti e al limite del cacofonico e che invece è finito dritto dritto tra i nostri album internazionali migliori del 2023. Le parole chiave per descrivere il lavoro di JPEGMAFIA e Danny Brown sono due: sample e follia. La prima perché le 14 tracce sono zeppe di campionamenti più disparati rimaneggiati, convulsi, frenetici e pitchatissimi (da Milkshake di Kelis in Fentanyl Tester a I Need A Girl pt. 2 di Diddy in Lean Beef Party, passando per Get Em High di Kanye West, Talib Kweli e Common nella rumorosissima title track). La seconda perché l’attitudine del rapper di Detroit e del collega newyorkese in questo progetto è totalmente e felicemente IDGAF nei confronti di tutto ciò che funziona (“Play something for the bitches / How the fuck you s’posed to make money off this shit?, rappa JPEGMAFIA) e quasi iconoclasta in quelli del genere. E a noi le cose folli piacciono un sacco. (GV)
Grian Chatten, Chaos For The Fly
Il rischio di un album che suonasse come un disco dei Fontaines D.C. senza i Fontaines D.C. aleggiava minaccioso come una nuvola temporalesca. Il vento e il suono delle onde l’hanno però spazzata via mentre Grian Chatten passeggiava lungo Stoney Beach, non troppo lontano dalla sua Dublino. Città che ha lasciato da qualche anno per Londra, seguendo il sentiero tracciato dai numerosi irlandesi che nei secoli hanno abbandonato la propria terra per vincere la paralisi. Joyce e Beckett tornano continuamente nei personaggi dei brani, sfiorando le mura annerite del Casinò di Bob dove risuonano degli inediti ottoni. Emergono ricordi d’infanzia in East Coast Bed, gli Echo and The Bunnymen in All of the People, le fate e gli archi in Fairlies. Accompagnato dal fido Dan Carey, Grian dimostra ancora una volta di essere uno dei cantautori migliori della sua generazione realizzando uno dei migliori album internazionali del 2023. (SV)
Articolo di Tommaso Toma, Silvia Danielli, Federico Durante, Greta Valicenti e Samuele Valori