Naska ha portato la sua stanza al Fabrique
Il primo dei due concerti sold out a Milano dell’artista è stato uno show punk rock. Come in ogni live di questo tipo che si rispetti non sono mancati momenti malinconici, ma è stata l’adrenalina il vero motore che ha smosso il pubblico
Sullo stato dell’arte, e quindi della musica, ci sono due opinioni: c’è chi la reputa la rappresentazione del mondo che ci circonda e chi, al contrario, la considera un modo per evadere e raccontare cosa manca. Naska si posiziona nel mezzo e lo ha dimostrato ieri, nel suo primo concerto al Fabrique. Che poi è un po’ la medesima zona in cui si colloca oggi il genere pop punk. Il ritorno dei Blink-182, il nuovo album dei Green Day – che risuonano entrambi prima dell’inizio dello show – fanno da cassa di risonanza alla nuova scena italiana, se ha un senso definirla così, e uniscono il senso di nostalgia per un passato che non c’è più, o addirittura che che qualcuno vorrebbe vivere per la prima volta.
«Ho 25 anni ma sono un ragazzino» è il ritornello che meglio si adatta al mood del concerto di Naska al Fabrique e infatti Pronto soccorso è la canzone che apre le danze. Sì, perché di danza si deve parlare. C’è quella nevrotica, tipica dei frontman del genere, alla YUNGBLUD per intenderci, di Diego che corre, salta e trasmette energia al pubblico.
E poi c’è quella dei presenti che però non hanno tutti venticinque anni. Ovvio, la maggior parte di essi rientrano nel suddetto range. Li riconosci dalle t-shirt dei Sum 41 o dell’Hella Mega Tour dei Green Day – qualcuno sfoggia anche una maglietta dei Metallica – e dal fatto che sono gli addetti al pogo che esplode durante Fare Schifo e 7 su 7. Potrebbe sorprendere, ma al giorno d’oggi ci si muove molto si più a un concerto pop punk di un artista emergente italiano come Naska, piuttosto che a un concerto dei Muse.
Come detto l’età dei presenti però è varia. Accanto ai millenials, c’è la consistente fetta dei Gen Z che sanno a memoria ogni parola di ogni singola canzone. Che poi è un’altra prerogativa dei concerti di questo tipo. Il pop punk è da sempre un’incubatrice di inni generazionali. Come lo era stata Diventerai una star dei Finley che, a sorpresa, salgono sul palco e fanno la gioia di chi ha vissuto l’adolescenza nei primi anni Duemila.
Un primo punto di arrivo
Naska è cosciente del pubblico che ha davanti, lo conosce perché anche lui ne fa parte. Sembra un’ovvietà, ma non è scontato che un artista riesca ad esplodere nello stesso genere che adora fin da bambino. Diego che è cresciuto tra le colline marchigiane di Monte San Giusto, dove la musica arriva di riflesso e per farla devi farti coraggio e andartene, andando avanti a pane, punk rock e rap, canta ciò che gli piace e come gli piace.
Per questo sa pure che in ogni concerto pop punk è fondamentale il momento singalong. Forse Naska al Fabrique decide di inserirlo in scaletta troppo presto, come a voler mettere un punto e preparare la folla all’esplosione di energia che arriverà da lì in poi. Rebel, tratta dal suo omonimo primo album, prepara il terreno al primo dei due momenti di maggiore commozione per l’artista. Si tratta di California, uno dei primi singoli pubblicati dal cantante. Tutti la conoscono e la cantano con lui: ci ha preso in pieno, ma gli effetti collaterali subentrano immediatamente e la voce gli si spezza.
Diego, non fatevi tradire dalla dizione un po’ milanese che gli si è incollata addosso, è un fuorisede trapiantato a Milano. L’unica differenza è che, anziché frequentare delle lezioni universitarie, pensa alla musica. La lontananza da casa, e soprattutto dalla sua famiglia, si fa sentire di più in alcuni momenti, come quando Naska ha scritto Wando. Il brano, dedicato a suo padre, suona come una liberazione per lui e per i presenti. Gran parte del pubblico arriva proprio dalle Marche. Non è raro, tra un momento di pausa e l’altro, sentire qualcuno lamentarsi del treno del giorno dopo. Sua sorella canta con lui e piange dalla terrazzina del Fabrique.
Naska, un distratto direttore di folla al Fabrique
Naska incarna tutte le principali caratteristiche del tipico frontman di un gruppo pop punk, d’altronde si esibisce con una band vera e propria. Si muove costantemente e, via via che il concerto prosegue, acquista maggiore dimestichezza e abbatte la barriera invisibile che lo separa dagli spettatori. Quando suonano i pezzi più scatenati – soprattutto quelli del già citato primo album REBEL – incita il pogo, salta e non si risparmia.
Dopo la mini cover di Baby One More Time di Britney Spears, sì avete letto bene, la serie di canzoni che segue, da Spezzami il cuore, Vaffanculo per sempre, Non ditelo ai miei, fino a Schiena dritta, sono un’iniezione di adrenalina. Naska dirige la sua orchestra, ovvero quello stesso pubblico che lo sorregge quando il fiato non gli basta per via del troppo movimento, o quando non riesce a controllare una nota troppo alta. Qualcosa che migliorerà con l’esperienza, ma che non inficia troppo nel gudizio complessivo del concerto.
Il parterre, completamente immerso nell’atmosfera, non se ne cura troppo e fa bene. Perché, in fin dei conti, il punk rock è anche questo. Vivere il momento presente, goderselo e scatenarsi. Il resto vien da sé e migliorerà col tempo. I presupposti ci sono tutti.
Gli ospiti
Quello di Naska al Fabrique è stato, l’abbiamo già scritto e riscritto, un concerto rock. Diego porta sul palco la sua stanza: un luogo colorato, senza senso, dove a momenti di euforia, si alternano attimi di malinconia di stampo emo. Eppure, non ci sono stati solo lui e la sua band, ma altri due ospiti, oltre ai Finley, hanno fatto il loro ingresso in scena. È un po’ la moda del momento questa, introdotta dai rapper che si supportano a vicenda per cantare i loro featuring dal vivo. Quindi potremmo dire che il concerto di Naska è stato anche un po’ rap, nonostante lui continui, ironicamente, a ripetere che non fa trap.
Prima con il trio La Sad canta la hit estiva Summersad 4 e poi abbraccia Madman. «Sono cresciuto andando a vederlo al Mamamia di Ancona», dice prima di regalare al pubblico Tranquillo mai. Nel finale del concerto il tono torna intimo con a Nessuno e Horror. Le due ballad fanno cantare il pubblico e Naska gli sta dietro e si tiene il meglio per l’ultima Punkabbestia che esegue in mezzo ai fan. E allora eccoci a urlare fuori tempo e oltre il limite dell’intonazione quel «No Future» che ha il sapore dei Sex Pistols e della ribellione che si vorrebbe vivere, ma per cui spesso manca il coraggio.
Naska non lo ammetterebbe mai, ma un po’ di quel coraggio l’ha trovato ed è bene che non lo perda. Qualche incertezza, il fiato che andrebbe gestito un po’ meglio, ma non importa. No, Diego, non farti convincere da chi ti dice «che è ridicolo sto cazzo di punk rock» e continua a farci vedere i poster che tieni appesi nella tua stanza.