Pharrell Williams ci spiega che il senso della vita è tutto da costruire, mattoncino dopo mattoncino
Arriva finalmente in sala “Piece by Piece”, il biopic/documentario LEGO, o chiamatelo come volete, che racconta la vita e la carriera dell’artista statunitense. Ricco di ospiti e, ovviamente, di tanta musica
Che tutto potesse essere collegato all’acqua era difficile da prevedere, ma si poteva immaginare. Gli Atlantis Apartments di Virginia Beach ce l’hanno insita nel loro nome. L’acqua è indispensabile, eppure può diventare letale. Così come l’ispirazione: è vitale, ma ci vuole un attimo a perdersi nel mare di idee. Pharrell è sempre stato uno tsunami di colori ed è una di quelle personalità che ci sembra di conoscere da sempre. Ascolti Happy o Get Lucky e sei convinto di sapere tutto di lui. Lo vedi immediatamente apparire nella tua mente sorridente, elegante e felice. Poi però basta spulciare i crediti di alcuni dei brani più celebri degli ultimi due decenni e lo ritrovi in una canzone dei No Doubt (Hella Good) o in Señorita di Justin Timberlake. Pezzo dopo pezzo, Piece by Piece, ci si rende conto che Pharrell Williams c’è sempre stato.
Il suo tocco magico è pure evidente: è una di quelle personalità della cui importanza ti accorgi nei momenti in cui sono assenti. Per questo motivo c’era bisogno di un biopic su di lui, ma non poteva essere un film normale. Non è un caso che il prossimo anno ne uscirà un altro (Golden) ispirato alla sua vita e curato da un altro “pazzo” come Michel Gondry. Il lungometraggio diretto da Morgan Neville è una creazione a metà strada tra il documentario e la biografia. L’unico modo per unire le due cose era l’animazione, in questo caso quella più colorata possibile: i LEGO. Attraverso i mattoncini, come nella realtà, si può riprodurre ogni cosa, persino ricreare il passato e dare forma alle sensazioni più astratte, come la sinestesia che colpisce le menti più sensibili alla musica.
Atlantis
Tutto è partito dall’acqua, come dicevamo e come spiega all’inizio di Piece By Piece lo stesso Pharrell Williams intervistato dal regista. Sì, perché il film inizia come uno dei tantissimi doc sugli artisti musicali degli ultimi anni. La star alle prese con la sua vita attuale, quindi immerso nella quotidianità tra figli e giocattoli, che si stacca per un attimo dalla famiglia per raccontarsi e fare un punto. Ovviamente tutto mostrato con i mattoncini, anche i cambi di espressione dei visi. L’artista statunitense parte descrivendo il suo quartiere come un’oasi felice, un’Atlantide sottomarina in cui si respira musica ad ogni angolo di strada. Come dargli torto, se si pensa che i suoi vicini di casa, in alcuni casi anche di banco di scuola, erano Timbaland, Missy Elliot e Pusha T.
Il nome della sua prima band, poi diventata duo di produttori, Neptunes, deriva da Nettuno. Il re del mare, ovvero colui in grado di tenere sotto controllo e dominare l’acqua. Così come il quasi coprotagonista, insieme a Pharrell, Chad Hugo. Il suo partner in crime è l’unico capace di mettere ordine nei pensieri sparsi del genietto di Virginia Beach. Quei mattoncini colorati che assembla e che si illuminano improvvisamente quando incastrati nel modo giusto, hanno bisogno di un contenitore adatto. Non è un caso che il momento di sbandamento del producer sia coinciso, oltre che con la dolorosa perdita della nonna che l’aveva indirizzato verso la musica, anche con il momentaneo distacco dal suo socio e amico d’infanzia.
LEGO vuol dire libertà
Tutti i personaggi illustri, al pari del protagonista, difficilmente sarebbero potuti apparire in un documentario classico. I LEGO convincono tutti però, infatti, se non possiamo avere la certezza riguardo al loro look, le loro voci sono reali. Inutile dire che sentire parlare Jay-Z di I Just Wanna Love U (Give It 2 Me) fa un certo effetto. Così come ascoltare il breve intervento di Kendrick Lamar sulla collaborazione Alright. Il successo del formato a mattoncini non deve stupire, visti i risultati eccellenti, sia a livello di pubblico che di critica, di LEGO Batman – Il Film.
Il fatto che l’artista statunitense abbia deciso di affidare il proprio racconto personale a un mondo di costruzioni colorate, non vuol dire che i lati meno luminosi della sua esperienza siano stati omessi. Anzi, buona parte dell’ultima mezzora di Piece by Piece mostra un Pharrell Williams inedito e sorprendentemente fragile. Anche dopo il ritrovato equilibrio con il successo globale di Happy, lo spettro del razzismo riesce a incupire l’atmosfera. Il fil rouge che lega tutto è per forza di cose la musica. Un ritmo continuo, incessante e necessario perché contribuisce lo spettatore a entrare nella mente del protagonista. Si alternano i suoi beat, i successi più celebri e anche dei pezzi inediti scritti appositamente per il film. Il tutto va a comporre una colonna sonora indispensabile.
Un percorso che non annoia mai, né scende mai di ritmo e tiene incollato allo schermo soprattutto chi non è un grandissimo esperto e conoscitore del cantante. E una volta compiuto il giro si ritorna dove si era partiti. Dagli Atlantis Apartments che Williams rivisita dopo anni, sotto forma di pupazzetto LEGO, accolto dalla sua famiglia allargata composta da chi in quei luoghi per vari motivi non se n’è mai potuto o voluto andare. Ma non è questo l’importante, come non lo è neppure essere vincitori. «Basta sapere che tutti quelli che ti vogliono bene e che ti sono intorno desiderano che tu vinca» spiega Pharrell in una delle ultimissime battute del film. Galleggiare sul pelo dell’ispirazione, lasciandosi cullare dalle onde, senza mai permettere che le stesse ti travolgano completamente.