Top Story

20 anni di “Room on Fire”, il gemello minore degli Strokes

Il secondo album della band newyorchese uscì il 28 ottobre del 2003, due anni dopo il successo del debutto “Is This It”. Un disco mai apprezzato totalmente dal gruppo che lo ritenne fin da subito troppo simile al precedente

Autore Samuele Valori
  • Il28 Ottobre 2023
20 anni di “Room on Fire”, il gemello minore degli Strokes

Foto di Frank Ockenfels

La definizione ossimorica “gemello minore” non è un divertissement linguistico, ma è uno dei modi migliori per descrivere l’album Room on Fire degli Strokes, anche dopo venti anni dalla sua uscita. Perché, in fondo, riascoltandolo oggi, la sensazione che potesse essere qualcos’altro persiste. Dopo il successo planetario di Is This It, la band tentò di intraprendere nuove strade per evitare di essere risucchiata da un mercato che oramai guardava con occhi sempre più interessati al pop. Un primo tentativo con Nigel Godrich, storico produttore dei Radiohead, andò male e così il gruppo tornò sui suoi passi affidandosi di nuovo a Gordon Raphael.

Room on Fire è un’espressione che ritorna in diverse canzoni del secondo album degli Strokes. L’immagine di una stanza infuocata assume vari significati: eccitazione, sesso o ira. Una frustrazione rabbiosa deve aver intossicato gli studi di registrazione in quei tre mesi di registrazione. Tuttavia, il sophomore venne apprezzato dalla critica che lo definì in sostanza buono quanto il primo, per quanto simile.

Il libro di Lizzy Goodman Meet Me in the Bathroom, divenuto poi un film documentario, descrive la scena musicale newyorchese a partire dal 2001. Uno degli eventi cardine è il concerto di Halloween degli Strokes all’Hammerstein di NY, poco dopo l’11 settembre. Gideon Yago di MTV ricorda che tutti avevano avuto la sensazione che «una notte come quella non sarebbe più potuta accadere. Sei mesi dopo gli Strokes non appartenevano più solo a New York».

Proprio dalle pressioni e dal successo ottenuto nascono brani come What Ever Happened? e soprattutto Reptilia, uno dei singoli di maggiore successo della band. Gli Strokes si sentivano in dovere di dare qualcosa in più, perché oramai erano stati incoronati da tutti gli amanti del rock come l’ultimo baluardo contro la fine del genere.

Room on Fire, l’insoddisfazione delle 12.51

Il primo singolo estratto da Room on Fire fu 12.51 e alla maggior parte dei membri della band non piaceva. Venne scelto dal discografico Clive Davis ed è uno dei brani atipici del disco. Nick Valensi perse un sacco di tempo per riprodurre con la propria chitarra elettrica un suono che fosse il più simile possibile a quella di un synth anni ’80.

Si tratta di un riff semplice, ma irresistibile, uno dei più memorabili della band. Il testo, invece, fa riferimento agli attimi che precedono una prestazione sessuale, il momento prima della perdita dell’innocenza, quello pervaso dalla nebbia dei sensi.

Il contraltare alla peculiarità di 12.51 è rappresentato da brani che effettivamente avrebbero potuto benissimo far parte della tracklist dell’album di debutto. Su tutti la conclusiva I Can’t Win, vicinissima musicalmente a Last Nite, o la ruvida The Way It Is. Il fatto è che sono comunque due brani che chiunque ami la band non si sognerebbe mai di skippare. Sono gemelle “minori” o semplicemente gemelle?

Un album tra amore e odio

Quando si pensa a Room on Fire degli Strokes la seconda canzone che viene in mente – la prima è Reptiliaè Meet Me in the Bathroom. Il motivo non risiede tanto nel brano stesso, che non è neppure tra i migliori del disco, quanto nell’immaginario che ha creato. Scelta come titolo del già citato libro di Lizzy Goodman, la canzone sembra sia stata scritta per Courtney Love ed è una delle tante di Room on Fire che mettono al centro i problemi di cuore di Julian Casablancas.

I testi del leader della band hanno il grande pregio di descrivere degli scenari d’amore decadenti e nostalgici. D’altronde cosa c’è di più decadente di un bagno per la fine di una relazione? Un altro aspetto che vale la pena sottolineare è il concetto di mascolinità che viene costantemente minato e messo in crisi. In Between Love & Hate – uno dei brani melodicamente più belli del disco – è la donna da avere il controllo delle emozioni provate dall’io narrante. Lei decide quando e come “appiccare il fuoco nella stanza”.

Automatic Stop è un’altra traccia centrale: Julian stiracchia la propria voce in un ritornello che dimostra perché gli Strokes hanno ottenuto un così grande successo. Gli arpeggi di chitarra elettrica fanno da sfondo alle parole ambigue del frontman – pervase da sfumature bisex- che sembrano riferirsi al conflitto che spesso alcuni uomini vivono con le proprie tendenze sessuali.

E se Nigel Godrich avesse prodotto Room on Fire?

Marc Spitz di Spin ha raccontato che, poco prima della pubblicazione di Room on Fire, Julian Casablancas passò con lui una serata movimentata in hotel. In quell’occasione il cantante degli Strokes mise sul giradischi Talking Heads: 77 e si lamentò del fatto che avrebbe voluto che il nuovo album della band avesse quella stessa spinta new wave. C’è da dire che il sound garage rock strabordante spesso sopprime le influenze dichiarate dallo stesso gruppo, su tutti i Velvet Underground (The End Has No End ) e Bob Marley (Under Control).

Il riferimento ai Talking Head ci riconduce però ai Radiohead – il nome della band inglese deriva dal titolo di una canzone di Byrne e soci – e a Nigel Godrich. Se il progetto originario di Room on Fire avesse funzionato, avrebbe potuto cambiare la direzione della carriera della band newyorchese? Difficile dirlo. Forse il suono sintetizzato della chitarra di Nick Valensi in 12.51 sarebbe stato realizzato da un synth vero e proprio e avremmo avuto qualche traccia con la drum machine.

Non sarebbero stati gli stessi Strokes, o magari sì, oppure sarebbero stati trasformati così tanto dal nuovo produttore dal voler tornare sui propri passi e registrare un Room on Fire come terzo album. In quel caso, però, nessuno avrebbe avuto il coraggio di definirlo un gemello minore, anzi sarebbe stato un acclamato ritorno alle origini. Inutile continuare a girarci intorno, gli Strokes si amano per l’autosabotaggio continuo che rende ancora più affascinante la loro musica. Perché sì, Room on Fire è un gran bel disco che ha avuto solo la sfortuna di essere quasi tanto bello quanto il suo acclamato predecessore Is This It.

Share:

PAOLOOO