“Continentale”, gemma multiforme: arriva l’esordio solista di Contini, ex Il Genio
“Pop Porno”, de Il Genio, fu un tormentone del pop italico anni Duemila. Adesso Alessandra Contini ritorna in veste solista con “Continentale”, un album di cesellato artigianato indie pop
La generazione dei millennials (ma non solo) non può non ricordare la forza pervasiva di un brano che ha segnato gli anni Duemila italici: Pop Porno, de Il Genio, registrò un exploit mediatico e commerciale in un’epoca proto-social che ci appare oggi lontanissima. C’erano MySpace e MSN Messenger, YouTube si vedeva in 360p e le piattaforme di streaming legale erano ancora orizzonti futuribili.
Il tempo è passato, così come le tendenze musicali, ma non è venuto meno il talento pop di Alessandra Contini, metà di quel duo, che oggi torna in veste solista utilizzando semplicemente il suo cognome. Il 3 maggio esce per UMA Records il suo primo album di questo nuovo corso, Continentale: undici tracce, anticipate dal caustico singolo Complimenti, in cui Alessandra mantiene il suo classico stile – melodie sussurrate, brani con molteplici livelli di lettura – e insegna ai giovani dell’indie italiano come si scrivono testi e temi musicali non banali, modestamente e senza superbia.
Le abbiamo chiesto di raccontarci il suo progetto solista e le abbiamo dedicato uno shooting fotografico che trovate sul numero di Billboard di aprile.
Partiamo dal titolo del tuo lavoro solista, Continentale: chi o cosa lo è?
È stato un titolo molto cercato. Per il mio primo disco solista volevo un titolo che corrispondesse esattamente a quello che avevo fatto. A un certo punto, durante una chiacchierata con un amico, ha detto questa parola e io mi sono sentita chiamata in causa perché contiene un po’ sia il mio cognome che il mio nome. Con Continentale avevo voglia di conoscermi un po’ meglio.
È stato come se avessi deciso di fare un viaggio non per andare da qualche parte ma per tornare un po’ verso di me. Come tutte le persone che vivono in maniera sociale nelle grandi città, o che comunque si spostano, ho frequentato moltissime persone. Però a un certo punto ho avuto una voglia forte di frequentare me stessa. Volevo capire chi ero sommando tutte le esperienze che mi erano capitate. Quando ho sentito pronunciare il titolo Continentale, l’ho sentito mio. È stata anche quella una questione di suono.
Quando nasce questo disco, questo progetto solista (dopo l’esperimento di Les Italiennes nel 2016) e quali sono state le fasi di produzione di Continentale?
È stato un po’ lungo, non ero sicura di riuscire a portarlo a termine. Avevo fatto quella collaborazione con Les Italiennes per un solo singolo (I Don’t Wanna Be Your Girlfriend, ndr), perché non c’era un disegno, un progetto. Ho realizzato quello che dicevo all’inizio: sentivo la voglia di fare qualcosa per conto mio. Io ho iniziato con Il Genio, io e Gianluca (De Rubertis, ndr) abbiamo messo su questo gruppo e abbiamo fatto delle cose di cui sono orgogliosa. È stata una bellissima esperienza. Solo che avevo questa voglia che iniziava a diventare un’esigenza.
A un certo punto ho dovuto fare una scelta drastica: ho lasciato tutto quello che avevo fatto ma che non stava andando avanti e ne ho approfittato per mettermi a scrivere e suonare in modo molto disinteressato. Non sapevo neanche se avrei portato a termine tutto quanto, perché non l’ho fatto pensando: “Adesso faccio un disco”, ma pensando “Mi metto a scrivere per conto mio perché ho voglia di farlo”. È stato un po’ un punto di rottura. Ho iniziato prima di tutto a buttare giù tutta la parte strumentale di Continentale: sono partita dalla melodia, dalla struttura delle canzoni. A un certo punto ho trovato che mi convincevano e ho voluto provare a metterci dei testi.
È per me un interessante ribaltamento di prospettiva, perché trovo che i tuoi brani siano molto basati sul suono e sul significato delle parole.
Sì, ho iniziato a buttare giù dei pezzi perché mi volevo approcciare in modo intimista alla forma-canzone, anche per condividere delle cose con l’altra persona che faceva parte del mio gruppo, cioè Gianluca. Però c’era sempre una forma di comunicarsi delle cose, avere dei punti di vista da scambiare durante la costruzione del pezzo. Nel caso di Continentale, invece, ero io a scegliere tutto. Quindi avevo iniziato a buttare giù delle cose, proprio a livello di strutture armoniche, un po’ immaginando di fare delle colonne sonore (le amo molto come tipo di scrittura). Sono partita da una melodia, da un riff, facendo dei provini che però erano molto grezzi rispetto a ciò che poi è stato registrato. A un certo punto ho voluto cercare una persona perché ho sempre desiderato portare le mie cose a un produttore artistico.
Mi è capitato questo ragazzo di nome Giovanni Calella, a cui ho fatto ascoltare i miei provini. A lui poi ho assegnato tutta la parte dell’arrangiamento e della produzione artistica. È stato un bellissimo lavoro, con un grande affiatamento e soprattutto ci siamo trovati molto negli intenti e anche negli ascolti. Prima di questa fase io avevo già scritto l’armonia dei pezzi, la struttura della forma-canzone, per cui sono arrivata con le idee abbastanza chiare. La bravura di Giovanni è stata quella di riuscire a leggere bene ogni mia sensazione che avevo cercato nelle canzoni. Avevo anche iniziato a mettere dei testi. Mi sono domandata cosa avrei potuto dire da sola: un conto è farlo con un’altra persona, mentre da sola ti metti alla prova.
All’inizio è stata una lotta un po’ dura: avevo l’ideale di un testo, cercavo le parole perfette. Ma erano dei testi distanti, perché cercavo più la forma che altro. Poi ogni resistenza si è sciolta.
Nel corso dell’album, come nei tuoi passati lavori, traspaiono delle suggestioni ricorrenti: un certo pessimismo, un senso di desolazione, una noia del vivere quotidiano, un amore annoiato e infelice. Sono quasi delle tematiche esistenzialiste. Ci sono delle ispirazioni extra-musicali – letterarie, cinematografiche – che ti hanno influenzata da questo punto di vista?
Sicuramente delle contaminazioni ci sono. Sono una persona molto curiosa e ho sempre avuto molta voglia di andare a cercare le cose. Anche nei racconti degli altri: tante volte mi rimangono impresse delle atmosfere o anche delle frasi che mi suonano in modo suggestivo, quasi cinematografico. Di sicuro ho sempre scelto cose da vedere o da ascoltare un po’ malinconiche e nostalgiche. Questa è una mia predilezione naturale. Anche con i dipinti: ci sono delle cose – il colore, la forma, il gesto – che mi riportano a una sensazione. Comunque per esempio ho guardato molto Bergman (ma non è che io guardi i suoi film tutti i giorni) e Hal Hartley, un regista americano indipendente che racconta una periferia americana sola, triste, dove però emergono tutti gli stati d’animo delle persone che la abitano.
Il tuo stile musicale è piuttosto “senza tempo”: non cerchi di inserirsi a forza in determinate tendenze della musica indipendente italiana. Quando produci musica hai in mente dei modelli specifici o ti affidi solamente alla tua libera sensibilità? E quando cominci a scrivere un brano da dove parti: da un’emozione, da uno stimolo sensoriale, da un fatto reale? O hai già un’idea complessiva del pezzo che farai, visto che hanno una notevole coerenza?
Per quanto riguarda la questione musicale, dell’armonia e della struttura della canzone, io parto sempre da una suggestione. Giovanni mi ha detto che quei provini avrebbero reso il disco molto confidenziale. Continentale è un disco intimo: mi diceva che non c’era bisogno di essere arzigogolati. Non c’era bisogno di un’impostazione “classica”. Quindi abbiamo deciso di fare un lavoro un po’ più scarno, anche se su alcuni pezzi ci sono parti più lavorate perché alcuni temini sono quasi da colonna sonora.
Sicuramente nello scrivere una musica io cerco sempre un riff o un tema. A quel punto poi fai quasi l’analisi grammaticale: ci metti il predicato e il complemento, ci costruisci sopra – raddoppi il ritornello, ci metti un bridge, quello viene facilmente. Anche se in questo disco nell’ultima canzone ho voluto annullare ogni cosa: ho fatto un pezzo intitolato Da Atlantide che dura sei minuti e mezzo. Anche il disco inizia con un intro strumentale, senza cantato.
Invece per quanto riguarda i testi, la cosa varia. Proprio questo mi aveva spaventato quando ho iniziato a scrivere da sola: il fatto di raccontare in due minuti e mezzo qualcosa o dare una suggestione o far vedere delle immagini. Quando ero molto cerebrale non è andato niente in buca. Per cui ho deciso di annullare tutto quello che avevo fatto. La prima cosa che mi ha sbloccato è stata un ricordo: mi ci sono immedesimata, sentendone anche gli odori. Chiaramente ne ricordo non si è mai fedeli, c’è sempre una parte di racconto che uno si crea. Da lì infatti sono partita a raccontarmi una storia. Senza cercarlo come risultato, le canzoni di Continentale, riascoltandole, mi davano una linea molto precisa delle cose che avevo vissuto.