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Japanese Breakfast: «Con “Jubilee” metto fine alla tristezza»

Una delle star di cui si parla di più, Japanese Breakfast, ha iniziato una nuova fase della vita. Leggi la nostra intervista

Autore Piergiorgio Pardo
  • Il14 Giugno 2021
Japanese Breakfast: «Con “Jubilee” metto fine alla tristezza»

Japanese Breakfast - Credits Peter Ash Lee

Japanese Breakfast, al secolo Michelle Zauner, con il recente album Jubilee si è confermata uno dei personaggi più interessanti della nuova scena indie americana. Oltre al nuovo disco, ci sono un libro, svariate incursioni nel mondo degli anime, una serie di apparizioni televisive molto riuscite, una collaborazione con Jack Tatum dei Wild Nothing. E la sensazione è che sia ancora solo l’inizio. Immaginate un crocevia ideale fra Bjork, K-Pop e Aoi Miyazaki che fa Nana Komatsu nel film Nana di Kentarô Ôtani. Insomma, un’irresistibile alchimia di creatività, stile, rock’n’roll, K-Pop e intelligenza glamour.

Non potevamo non lasciarci incuriosire, l’artista sarà anche protagonista del Portrait of nel numero di luglio-agosto di Billboard Italia.

Sono trascorsi quattro anni da Soft Sounds from Another Planet, un album importante per il progetto Japanese Breakfast, sia da un punto di vista esistenziale che professionale. Mi viene spontaneo iniziare chiedendoti: come sei stata in questi anni e come stai adesso?

Direi che questi quattro anni sono trascorsi in fretta. Subito dopo Soft Sounds siamo stati in tour praticamente tre anni di seguito, poi ho lavorato al mio libro e da giugno del 2020 abbiamo cominciato a registrare il nuovo disco. Sono stata bene e ho imparato molto soprattutto dalla vita in tour: alla fine di un periodo così prolungato di rapporto continuativo col pubblico mi sono sentita più forte, più fiduciosa nelle mie possibilità e più consapevole degli strumenti per realizzarle.

Infatti, rispetto al disco precedente gli arrangiamenti sono molto più complessi, progressivi quasi…

Nel senso del prog rock, dici?

Be’, mi sembra che le canzoni siano più strutturate e sofisticate che nel passato…

Magari avevo semplicemente un maggiore desiderio di mettermi in gioco. In questi quattro anni penso di essere migliorata sia come musicista e produttrice, sia come cantante, per cui mi sono misurata con sfide nuove a livello di songwriting. Mi sono impegnata sul disco per un anno intero e credo sia il mio lavoro migliore.

Lo credo anche io. Ma non c’è anche un po’ di Canterbury Sound e di Japanese Beat nella scelta di alcuni suoni e anche in certe melodie un po’ più oblique?

Sì, questo sì, soprattutto se penso a pezzi come Kokomo, IN o Tactics. A volte si pesca dal passato proprio per non annoiarsi, per trovare delle cose nuove. Inoltre, in questo disco per comporre ho usato molto il pianoforte, cosa che non avevo mai fatto in passato, e questo ha avuto la sua influenza.

Come mai questa scoperta? Hai preso lezioni di piano, o fatto degli ascolti in particolare?

In realtà non ho preso lezioni, ma ho inserito un training personale sul pianoforte in quel generale processo di crescita di cui ti parlavo, fatto soprattutto di ricerca, di sperimentazione: davvero mi sento molto di più una musicista adesso rispetto a qualunque altra fase del mio percorso artistico come Japanese Breakfast.

Anche a livello di resa live il progetto mi sembra di grande impatto: la performance al Tonight Show di Jimmy Fallon è davvero fortissima, mi vuoi raccontare quell’esperienza?

Volevamo ricreare il più possibile la freschezza di una esibizione dal vivo. Be Sweet è un pezzo vivace, che ha bisogno di picchi di energia per rendere bene. D’altra parte, dopo essere stati improvvisamente lontani dalle scene per un tempo prolungato, c’era anche un forte desiderio in tutti noi di assaporare di nuovo il piacere e l’adrenalina di una vera performance. E così è stato. Abbiamo registrato tutto in presa diretta, servendoci anche di una steady cam che seguiva i movimenti, e il video cattura tutto quello che è successo, senza aggiunte successive nel montaggio.

https://www.youtube.com/watch?v=vok63vFHRtU

A proposito di video, se ne trova uno molto divertente in rete in cui mostri la tua borsa della spesa di vinili, con un sacco di chicche di K-Pop, rock psichedelico giapponese, la colonna sonora di Yentle, Cat Power, i NIN… sei veramente una collezionista poliedrica. Visto che si è appena concluso anche il Record Store Day, cosa consiglieresti di ascoltare ai nostri lettori per entrare nel mood del tuo mondo musicale?

C’è un duo coreano, Bunny Girls si chiamano, che hanno fatto dischi insospettabilmente belli. In particolare c’è un pezzo, Boomerang, che mi piace moltissimo e si trova in un loro album del 1982, pieno di funky, disco, psichedelia. Non sono una intenditrice del genere, ascolto delle compilation soprattutto, però quel disco è fantastico e sicuramente è stata una fonte di ispirazione, oltre che di grande divertimento (anche secondo noi è una piccola gemma nascosta, il titolo, se volete cercarlo, è questo: 기다리며살아요/바보처럼못잊어, ndr).

Cosa celebra il titolo dell’album?

Una rinascita. Nei miei dischi precedenti si parlava di cose dolorose, della tristezza e delle sue ragioni. Jubilee festeggia la fine di questa tristezza, accoglie festosamente un sentimento di sorpresa, una gioia inattesa.

Quando pensi a una rinascita, pensi anche al tema di una possibile ripresa dalla pandemia?

In realtà i pezzi sono nati prima del Covid, ma nulla vieta a chi lo ascolta di leggere il titolo anche in quella chiave. Di fatto, la gioia inattesa arrecata dalla pandemia potrebbe essere quella di tornare a dare valore a ciò che si dava per scontato, a riscoprire la forza che viene ad una società dal fatto che i suoi membri si prendono cura uno dell’altro.

Insieme alla gioia c’è anche dell’eleganza nell’album, un tocco di fashion e raffinatezza, possiamo dirlo?

Grazie, è una cosa molto carina da sentirsi dire. Certamente maturando si è più suggestionati da un approccio più sofisticato con la realtà. Mi piace pensare che, se un’eleganza davvero c’è nel disco, questa venga da una forma di maturità e dalla abilità nello scegliere soluzioni che facciano la differenza.

A volte si coglie anche una sfumatura di sex appeal, quando spigoloso, quando invece incline ad un clima malizioso, seducente. Che cos’è per Japanese Breakfast la sensualità?

Penso che ciascuno di noi abbia la propria e che sia tutto ciò che lascia negli altri. Un piccolo segno, dapprima immediato, ma che diventa durevole dal momento in cui l’altro se ne appropria, come incorporandolo. Piuttosto che sensuale, definirei sensoriale la sfera di questo gioco di impressioni. Alla base ci devono essere una sollecitazione precisa, acuta, e in chi la riceve una predisposizione a farsene permeare.

A proposito di sollecitazioni emotive e sensoriali, c’è un brano nel disco che mi ha molto colpito per la sua atmosfera particolare: Paprìka. Di cosa parla?

Paprìka è il nome di un anime di Satoshi Kon, in cui c’è una sequenza onirica, come una sorta di folle parata. Il pezzo si ispira a quel mood visionario e a tutte le cose che anche nella vita di ogni giorno lo richiamano.

Pensando al mondo degli Anime mi viene spontaneo chiederti se ci sia una componente magica, soprannaturale nel disco. Che ne dici?

Credo che la magia sia connaturata ad ogni processo creativo. C’è sempre qualcosa di imponderabile, di indefinibile in una espressione artistica. È una cosa che ricerco sempre, desidero che sia proprio questa magia il momento iniziale da cui scaturisce ogni cosa che scrivo.

Come sono nati i pezzi? Insieme alla band o hai fatto le pre-produzioni da sola?

Entrambe le cose. Pezzi come Paprìka sono nati interamente a casa e in studio abbiamo ricreato analogicamente le parti che avevo arrangiato a casa con l’aiuto del computer. Be Sweet, invece, è stata scritta passo dopo passo insieme a Jack Tatum dei Wild Nothing.

Chiudiamo con una domanda sul tuo libro Crying in H Mart. Qualcosa di quelle pagine ha influenzato il songwriting del disco?

Crying è un libro sulla mia mamma coreana. Ci sono il ricordo, il cibo coreano, la perdita di una persona, la malattia, il dolore. Scriverlo è stato liberatorio. Alla fine, avevo scritto tutto ciò che potevo sul dolore e sono stata in grado di trovare nuovi argomenti. E così, anche per una giusta reazione, ho sentito che era il momento di tornare a parlare di gioia di vivere.

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